La narrativa d’avanguardia comincia ad assomigliare sempre di più all’arte concettuale.
di Shaj Mathew, “The New Republic”, traduzione di Alessia Cantagalli.

Una visitatrice osserva Il Grande Vetro (1915-23) di Marcel Duchamp, esposto al Philadelphia Museum of Art, 1954. Foto di Hermann Landshoff.
Postmodernismo è ormai un termine senza senso, svuotato a causa del troppo utilizzo e inadatto a descrivere un gruppo di autori di età e nazionalità diverse che vengono spesso raggruppati insieme in questa generica categoria: Ben Lerner, Sophie Calle, Teju Cole, Tom McCarthy, Alejandro Zambra, Siri Hustvedt, Michel Houellebecq, Sheila Heti, W.G. Sebald, Orhan Pamuk ed Enrique Vila-Matas, sessantasettenne scrittore barcellonese che, con oltre venti romanzi all’attivo, è forse il più prolifico ma anche il meno conosciuto del gruppo.
Dovremmo chiamarli, invece, la generazione di Fame di realtà[1], dal titolo del geniale e profetico manifesto sulla scrittura contemporanea firmato da David Shields nel 2010.
Secondo Shields i romanzi che rispettano le tradizionali convenzioni su narrazione, trama e storia non hanno più ragione di esistere. La realtà è finzione e la finzione è realtà.
Per riflettere in maniera più accurata su come viviamo questa realtà, dovremmo pensare ai romanzi nello stesso modo in cui pensiamo alle opere d’arte.
“Per la maggior parte dei lettori – e dei critici – un romanzo è soprattutto una ‘storia’” scrive Shields. “Ma un’opera d’arte, proprio come il mondo, è una forma viva. È nella sua forma che si trova la sua realtà”[2].
Se la forma, dunque, è oggi fondamentale – ancor più del contenuto – qual è la forma delle opere d’arte contemporanee? La forma del collage. Che è proprio la forma di Fame di realtà.
Oltre a tratteggiare il futuro della produzione artistica, Fame di realtà ne diventa anche un modello: è un pastiche, una serie di aforismi intenzionalmente “plagiati”, senza essere citati tra virgolette. (Le fonti sono elencate nell’indice per motivi legali, ma Shields invita il lettore a eliminarle dal libro).
Ma nei cinque anni trascorsi dalla pubblicazione di Fame di realtà, la narrativa si è trasformata e ha acquisito una serie di caratteristiche nuove rispetto a quelle introdotte da Shields. Tutti questi romanzieri (Lerner, Calle, Cole ecc.) sono esplicitamente narratori di sé stessi, ma spesso, sullo sfondo, c’è anche lo spettro di un trauma: Zambra scrive sulla scia del colpo di stato di Pinochet in Cile, Sebald scava nella memoria dell’Olocausto e Lerner documenta le conseguenze degli attentati dell’11 marzo a Madrid.
Soprattutto, questo genere letterario è contraddistinto da una certa permeabilità, da una certa propensione ad assumere una grande varietà di forme – alcuni romanzi come Modi di tornare a casa[3] di Zambra e Nel mondo a venire[4] di Lerner si trasformano in poesia, mentre altri dialogano con la musica e il teatro. Molte di queste opere comprendono pagine scritte in forma di saggio o di recensione letteraria: Jorge Carrión, un autore purtroppo non ancora tradotto in inglese, inserisce nel suo romanzo I morti[5] un intervento di critica letteraria completamente inventato. (Questa tipo di tecnica, che fonde generi diversi, potrebbe alimentare le ansie dei critici letterari: come si fa a dire qualcosa di nuovo su un libro che si recensisce da solo?).
Ma, cosa ancora più importante, questi romanzi disseminano la prosa di fotografie e dipinti. All’inizio queste giustapposizioni sembrano porre una delle questioni di fondo del realismo: il romanzo può davvero competere con l’“effetto di realtà” di una fotografia o con la consistenza pittorica di un dipinto?
Su questo punto, gli scrittori seguono l’esempio di W.G. Sebald, che utilizza l’arte visuale non come una semplice aggiunta al testo, ma come una fonte d’ispirazione per il testo stesso, come affermato da Teju Cole in un’intervista con Aleksandar Hemon apparsa su “BOMB Magazine”, le immagini di Sebald “propongono una sfida. ‘Guardate, tutto questo è una testimonianza’, sembra dire Sebald. E arriviamo quasi a crederci – finché non ci accorgiamo del sottile contrasto tra testo e immagine. […] Le sue fotografie […] sono responsabili del carattere misterioso e perturbante dei suoi libri: ‘È tutto vero’, pensiamo, anche se sappiamo che non può essere tutto vero”.
Il romanzo di Sophie Calle Suite Vénitienne/Please Follow Me[6] – un diario fotografico fatto di scatti rubati a uno sconosciuto che l’artista ha seguito fino a Venezia – porta lo spunto di Sebald al livello successivo: la storia si sviluppa attraverso le foto, mentre il testo, il diario dell’autrice, fa da intermezzo, quasi da didascalia.

Sophie Calle, Suite Vénitienne/Please Follow Me, Éditions de l’Étoile – Cahiers du cinema, Parigi 1983.
Oltre a riportare vere opere d’arte, molti di questi romanzi-realtà presentano scene che si svolgono all’interno di musei o di mostre di arte contemporanea. La scena iniziale di Un uomo di passaggio[7] è ambientata al Prado, dove il narratore scopre la riluttanza dei guardiani del museo ad avvicinarsi a un eccentrico visitatore che trovano più commovente delle opere esposte.
Nel romanzo La persona ideale, come dovrebbe essere?[8] Sheila Heti passa tre giorni all’Art Basel e Michel Houellebecq mette alla berlina il mondo dell’arte contemporanea nel suo La carta e il territorio[9].
Quello che ho amato[10] di Siri Hustvedt si apre con il ritrovamento di un dipinto, mentre il suo ultimo lavoro, Il mondo sfolgorante[11], mette a nudo i pregiudizi contro le donne nel mondo dell’arte. Il museo dell’innocenza[12] di Orhan Pamuk è effettivamente diventato un museo di Istanbul.
Il mondo dell’arte è penetrato in quello letterario anche in altri modi. La maggior parte delle fiere d’arte, come la Frieze Art Fair di Londra e New York, inserisce nel proprio programma conferenze tenute da scrittori.
La stessa Siri Hustvedt, autrice anche di un libro di critica d’arte molto apprezzato, ha tenuto varie lezioni al Prado e al Metropolitan Museum di New York. E in un’intervista della scorsa primavera (sempre su “BOMB”), l’autore Tom McCarthy ha raccontato come il fatto di aver frequentato un gruppo di artisti figurativi e visuali quando aveva vent’anni gli abbia dato una comprensione più sofisticata delle potenzialità della letteratura: “Quel genere di persone aveva un legame molto più dinamico con la letteratura rispetto a tanti ‘letterati’ […] e le loro opere sembravano volersi confrontare attivamente con l’eredità del modernismo letterario in toto (nello stesso modo in cui, per esempio, Bruce Nauman riesamina alcune questioni poste da Beckett, o in cui John Cage fa riferimento a Joyce). […] In larga misura, il mondo dell’arte produce un contesto entro cui la letteratura può essere fortemente riorientata, trasformata e dilatata oltre i propri confini”.
Questo condensarsi della letteratura intorno alle arti visive sembra sempre meno un fatto occasionale e sempre più il punto nodale della questione. Gli scrittori d’avanguardia di oggi aspirano a essere artisti concettuali e le loro opere sono considerate opere d’arte concettuale. Probabilmente la letteratura sta vivendo il suo “momento duchampiano”. Benvenuti nell’era del romanzo ready made.
Proprio come Marcel Duchamp si chiedeva se un orinatoio potesse essere considerato un’opera d’arte, il romanzo ready made si chiede cosa sia la letteratura e cosa dovrebbe diventare in futuro.
Invece di cercare di comprendere la realtà attraverso una serie di dettagli concreti, tramite il narratore onnisciente, i punti di vista molteplici o qualunque altra cosa potremmo aspettarci dalla narrativa tradizionale, il romanzo ready made propone un’idea o pone una domanda.
È più interessato all’idea che sta alla base di un’opera d’arte – quindi anche alla base di sé stesso – che alla sua stessa realizzazione. Il romanzo ready made mette in evidenza la principale virtù (o il principale vizio) dell’arte concettuale: diversamente da quanto accade nelle arti visive tradizionali, non devi necessariamente vedere un’opera ready made per “afferrare il concetto”. Se però vai a vederla, è un po’ come aprire un romanzo ready made: non sei un semplice spettatore passivo, ma parte attiva nella sua creazione.
I due più recenti romanzi dello scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas dimostrano quanto profondamente questa tensione verso l’arte concettuale pervada le avanguardie letterarie contemporanee.
Nel suo ultimo romanzo, Kassel non invita alla logica[13], lo scrittore diventa egli stesso una mostra d’arte contemporanea. Il libro è una versione lievemente romanzata dell’esperienza vissuta da Vila-Matas durante la mostra d’arte Documenta a Kassel, in Germania, dove, nel 2013, era stato inviato per una settimana in qualità di scrittore “residente”.
I curatori di Documenta gli chiedono di trascorrere l’intera settimana a scrivere in un angolo di un piccolo ristorante cinese. Vila-Matas, che trova assurda la proposta, passa la maggior parte del tempo nel ristorante Dschingis Khan (un ristorante reale e non di scena) dormendo, inventando conversazioni tra i tedeschi e i cinesi che gli stanno intorno ed evitando accuratamente il pazzo che tenta in continuazione di attaccare bottone con lui.
Sebbene dia l’impressione di stare soltanto perdendo tempo mentre è al ristorante, Vila-Matas diventa esattamente la performance artistica che i curatori di Documenta avevano sperato: “L’arte è arte, e ciò che ne fai dipende solo da te”, gli dice uno dei curatori.
Vila-Matas è anche l’autore di Storia abbreviata della letteratura portatile[14], pubblicato per la prima volta nel 1985 e uscito negli Stati Uniti nell’estate dello scorso anno, insieme a Kassel non invita alla logica.
Storia abbreviata della letteratura portatile è il più corrosivo dei due, un bizzarro divertissement dedicato alle peregrinazioni di una società segreta di letterati, detti “Shandy” (con riferimento a Tristram Shandy). Forse il modo più efficace (e autodissacratorio) per descrivere il libro lo si può trovare tra le sue stesse pagine, dove viene definito come “un viaggio senza una meta, senza uno scopo prefissato, e palesemente inutile”.
Questo libro è un catalogo dell’arte d’avanguardia – con riferimenti a Duchamp, Walter Benjamin, Man Ray, Georgia O’Keeffe – compilato in uno stile che oscilla tra il divertente e il fastidiosamente saccente.
Il libro è costruito sull’impianto di un mockumentary (ovvero di una pseudoindagine satirica) che ripercorre retrospettivamente, indizio dopo indizio, gli avvenimenti che hanno portato al precipitoso scioglimento di questa società segreta, dalla breve ma gloriosa esistenza, che richiedeva ai propri membri di creare arte portatile, ovvero opere ready made come la Scatola in una valigia di Duchamp.
Letti insieme, questi due romanzi, pubblicati a una trentina d’anni di distanza, dimostrano la trasformazione del pensiero di Vila-Matas riguardo al rapporto tra l’arte e la letteratura contemporanee.
Da un lato, Storia abbreviata della letteratura portatile dà semplicemente voce a questo gruppetto di discepoli di Duchamp. Quasi come fosse una fan fiction per intellettuali.
In Kassel non invita alla logica, invece, Vila-Matas non si limita a raccontarci in che modo i grandi artisti hanno provato a creare arte portatile, ma diventa lui stesso un’opera d’arte portatile.
Mentre se ne stava imbronciato nel ristorante cinese, scrivendo o facendo finta di scrivere, Vila-Matas è diventato ufficialmente un’opera in mostra al Documenta 13, dove i promotori della borsa di residenza per scrittori “erano alla ricerca di momenti di ‘coralità’: di occasioni di impegno reciproco, silenzioso o ad alta voce; della possibilità che le voci si incontrassero e si unissero, senza chiedere esplicitamente loro di farlo”.
I concetti o le domande – che succede se facciamo dell’atto solitario dello scrivere una performance pubblica? Può esistere una dimensione privata in uno spazio pubblico? – superano di gran lunga in importanza gli stessi modi della loro esecuzione.
Ma non è questo l’unico obiettivo del romanzo ready made: Vila-Matas ci ricorda che non viviamo più come i romanzieri francesi del diciannovesimo secolo, quindi dovremmo smettere di scrivere secondo le loro norme realistiche quasi scientifiche e ormai fuori moda: “Noi disprezziamo gli scrittori realisti che pensano che il compito dello scrittore sia riprodurre, copiare, imitare la realtà, come se, nelle sua caotica evoluzione, nella sua mostruosa complessità, la realtà potesse essere intrappolata e raccontata” scrive Vila-Matas in Kassel non invita alla logica. “Ci appassionano invece gli scrittori che credono che quanto più sono empirici e prosaici, tanto più si avvicineranno alla verità, infatti, quanti più dettagli accumuli, più questi ti portano lontano dalla realtà”.
La nostra realtà consiste piuttosto in qualcosa di molto più simile all’arte concettuale.
In Kassel non invita alla logica, Vila-Matas ama ripetere una frase che Mallarmé disse a Manet: “Non dipingere la cosa, ma l’effetto che produce”.
In altre parole, l’effetto prodotto dall’arte è diventato più importante del dipinto stesso.
Non sorprende che questa frase venga ripetuta tanto spesso nel romanzo: in Kassel non invita alla logica Vila-Matas sta dipingendo proprio l’effetto che l’arte produce.
Il lettore ha accesso diretto alla sua ricca vita interiore – tutte le sue ansie, opinioni ed esperienze mentre osserva le installazioni esposte a Documenta.
Vila-Matas esige un lettore partecipe: come le installazioni di arte concettuale a Documenta richiedevano un visitatore partecipe affinché potessero acquisire significato, così Vila-Matas chiede lo stesso ai suoi lettori.
“L’arte è arte, e ciò che ne fai dipende solo da te” ci ricorda il curatore di Documenta.
Tenere insieme interpretazioni in conflitto tra di loro, analizzare le nostre associazioni di idee, sensazioni e teorie: questa è l’opera d’arte nel nuovo millennio.
Gli scrittori ready made, naturalmente, si trovano ancora ai margini della letteratura contemporanea.
Solo Pamuk e Sebald, in questo momento, sono conosciuti a livello internazionale.
Cole e Lerner sono destinati a conseguire un maggiore riconoscimento e c’è da augurarsi che i loro prossimi romanzi destino più scalpore, ma Vila-Matas e Zambra dovranno attendere che aumentino le traduzioni in inglese delle loro opere per ottenere la fama che meritano; Sophie Calle potrebbe invece rimanere troppo d’avanguardia.
A prescindere dal loro successo commerciale, l’emergere di questi scrittori suggerisce l’esistenza di un pubblico, seppure di nicchia, interessato a capire come viviamo l’arte ai nostri tempi.
Ed è probabile che gli scrittori più giovani di questa generazione continueranno a scrivere romanzi simili nel futuro.
Proprio i romanzieri “ready made” potrebbero servire da ispirazione per alcune imitazioni ready made.
[1] David Shields, Reality Hunger: A Manifesto, Knopf, New York 2010; Fame di realtà. Un manifesto, traduzione di Marco Rossari, Fazi, Roma 2010.
[2] David Shields, Reality Hunger: A Manifesto.
[3] Alejandro Zambra, Formas de volver a casa, Anagrama, Barcellona 2013; Modi di tornare a casa, traduzione di Bruno Arpaia, Mondadori, Milano 2013.
[4] Ben Lerner, 10:04, Faber & Faber, Londra 2014; Nel mondo a venire, traduzione di Martina Testa, Sellerio, Palermo 2015.
[5] Jorge Carrión, Los muertos, Literatura Random House, Barcellona 2010; I morti, traduzione di Roberta Bovaia, Atmosphere libri, Roma 2012.
[6] Sophie Calle, Suite Vénitienne/Please Follow Me, Éditions de l’Étoile – Cahiers du cinema, Parigi 1983.
[7] Ben Lerner, Leaving the Atocha Station, Granta, Londra 2012; Un uomo di passaggio, traduzione di Laura Prandino, Neri Pozza, Vicenza 2012.
[8] Sheila Heti, How should a person be?, House of Anansi Press, Toronto 2010; La persona ideale, come dovrebbe essere?, traduzione di Moira Egan e Damiano Abeni, Sellerio, Palermo 2013.
[9] Michel Houellebecq, La carte et le territoire, Flammarion, Parigi 2010; La carta e il territorio, traduzione di Fabrizio Ascari, Bompiani, Milano 2010.
[10] Siri Hustvedt, What I loved, Henry Holt and Co., New York 2003; Quello che ho amato, traduzione di Gioia Guerzoni, Einaudi, Torino 2006.
[11] Siri Hustvedt, The Blazing World, Simon & Schuster, New York 2014; Il mondo sfolgorante, traduzione di Gioia Guerzoni, Einaudi, Torino 2015.
[12] Orhan Pamuk, Masumiyet Müzesi, Iletisim, Istanbul 2008; Il museo dell’innocenza, traduzione di Barbara La Rosa Salim, Einaudi, Torino 2009.
[13] Enrique Vila-Matas, Kassel no invita a la lógica, Seix Barral, Barcellona 2014; Kassel non invita alla logica, traduzione di Elena Liverani, Feltrinelli, Milano 2015.
[14] Enrique Vila-Matas, Historia abreviada de la literatura portátil, Anagrama, Barcellona 1985; Storia abbreviata della letteratura portatile, traduzione di Lucrezia Panunzio Cipriani, Sellerio, Palermo 1989; poi Feltrinelli, Milano 2010.