La sfida della traduzione in inglese del più importante romanzo di lingua irlandese punta a catturare l’energia linguistica di Máirtin Ó Cadhain.

di Alan Titley, “The Irish Times”, traduzione di Gabriella Tonoli.

 

Non è mai stata mia intenzione tradurre Cré na Cille di Máirtin Ó Cadhain. Né posso dire, d’altro canto, che mi sia stato imposto. Vero è che continuava a ronzarmi nelle orecchie da tempo, perché l’ho scoperto e ne sono rimasto folgorato al primo anno di università e perché poi ho continuato a insegnarlo tanto a matricole che a dottorandi come un classico della letteratura irlandese.

L’Irlanda lo conosce bene. È stato definito il più grande romanzo irlandese, proprio come Ulysses ha il fregio di più grande romanzo anglo-irlandese. Non si tratta di posizioni incontrovertibili, ma per sovvertirle bisognerebbe essere disposti ad affrontare notevoli discussioni e non pochi pregiudizi. È sempre stupido e volgare stilare classifiche letterarie, ma è molto probabile che Cré na Cille e Ulysses comparirebbero in un qualsiasi elenco di letture imprescindibili per un irlandese bilingue.

Si tratta di un romanzo i cui personaggi sono tutti morti. Sepolti in un cimitero in Connemara, essi continuano con cattiveria i furiosi litigi di cui si sono nutriti quando erano in vita. All’arrivo di un nuovo cadavere, trovano il loro unico sostentamento negli ultimi pettegolezzi, negli scandali, nelle supposizioni, nelle dicerie e anche, qualche rara volta, nella verità su quanto accade “lassù”.

The_dirty_dustÈ un grande romanzo perché è allo stesso tempo tradizionale e modernista, inattuale e sperimentale. Tradizionale e inattuale perché parla di una consolidata e “organica” comunità a cui nulla o poco importa del mondo esterno; modernista e sperimentale perché infrange tutte le convenzioni più scontate e consuete del narratore unico, lasciando che siano le diverse voci a condurre il racconto.

Tra le sue pagine troviamo anche uno dei più importanti personaggi della letteratura irlandese: Catriona Paudeen, una strega, un mostro, una vecchia megera, un’arpia e molto altro, e se ha qualcosa di buono se lo tiene ben nascosto. Nella sua tomba, fanno capannello intorno a lei i suoi vicini di un tempo, e ognuno di loro ha qualche cattiveria da dispensare su tutti gli altri.

Personaggi chiacchieroni

Máirtin Ó Cadhain credeva che il modo migliore per rivelare un personaggio fosse quello di farlo parlare, e questo romanzo è popolato da così tante figure che risulta davvero difficile avere un ritratto compiuto di ognuna di esse, e infatti alcune emergono più vivide di altre.

C’è il bottegaio che farebbe di tutto per guadagnare qualche scellino; il barista che annacqua il whiskey; il maestro di scuola che inveisce contro la moglie, la quale forse, ora che lui è morto, se la sta spassando; il ragazzo che ruba alghe marine; l’assicuratore che con la parlantina è in grado di mutare qualsiasi situazione a suo vantaggio; la donna che si fa una “cultura” solo una volta arrivata al cimitero; e gli uomini che discutono di calcio.

È una vivace conversazione tra morti, che sembra non avere mai fine. Un borbottio che potrebbe proseguire per sempre, e che forse lo farà, ma senza mai sfuggire alle piccinerie e alle meschinità che ci tengono legati alla vita.

La sfida principale nel tradurre il romanzo è stata riuscire a rendere la lingua vivida e sfrenata
di Ó Cadhain in un inglese che non ne disperdesse l’energia vitale. Soprattutto in questo romanzo, e diversamente da alcune storie scritte in seguito, Ó Cadhain usa in larga parte l’idioma del suo luogo di origine. Come tutti gli scrittori, però, dando libero sfogo alla fantasia. Con prestiti, furti e saccheggi, attingendo da tutti i dialetti irlandesi, dal gaelico scozzese, dalle nuove formazioni e da più di mille anni di letteratura irlandese, oltre a inventare nuove parole per l’occasione.

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Così ho deciso di fare come lui. Se siamo disposti a rinunciare all’inglese stanco, ufficiale e giornalistico, tanto banale quanto il discorso di un burocrate europeo e tanto monotono quanto la prosa di un cretino qualunque che si occupa di pubbliche relazioni, allora riscopriamo che l’inglese ha fondamenta ricche, folli, selvagge e popolari. Ho cercato di sfruttare questi aspetti, pur consapevole che il ricorso allo slang è una trappola che può vanificare il lavoro in ben poco tempo.

Volevo evitare di impaludarmi in quella stronza accozzaglia di espressioni anglo-irlandesi che nessuno usa più, per attingere alle forme più creative dell’inglese che ci circondano.

Benché in una posizione sfavorevole, l’irlandese ha avuto infatti il vantaggio di non essere strizzato nel corsetto della rispettabilità linguistica, e questo gli ha concesso le ali con cui poter spiccare il volo. Proprio per questo era necessario avere accesso a un inglese che godesse di una simile libertà, una libertà che di sicuro esisteva, ma che andava scovata.

Nel lavorare a questa traduzione sentivo lo spirito di Ó Cadhain grugnirmi accanto. Da un lato voleva che l’opera venisse tradotta, dall’altro dubitava che fosse possibile. Non so proprio se sarebbe contento della mia traduzione, ma a me piace pensare di sì, anche se sono certo che avrebbe inveito almeno contro un migliaio di frasi.

Mairtin_O_CadhainLa sua teoria della traduzione – se mai ne abbia avuta una, cosa di cui dubito – era probabilmente libera e creativa. La cosa interessante è che apparirà un’altra traduzione di Cré na Cille, ad opera di Liam Mac Con Iomaire e Tim Robinson (e sarà pubblicata l’anno prossimo, sempre da Yale University Press), dal titolo Graveyard Clay, e ho sentito dire che il loro approccio sarà molto diverso dal mio.

Perché non un solo paragrafo viene tradotto da una lingua a un’altra nello stesso modo da due persone diverse. I differenti approcci che adottiamo trasmettono le cose diverse che vediamo e gli echi diversi che sentiamo provenire dalle parole sulla pagina.

Spero che queste traduzioni possano far conoscere un grande classico irlandese e trasmettere la consapevolezza che la letteratura contemporanea in lingua irlandese non è altro che l’onorevole continuazione dei nostri 1500 anni di ininterrotta tradizione scritta.

 

Máirtin Ó Cadhain, The Dirty Dust, traduzione di Alan Titley, Yale University Press, New Haven-Londra 2015.

Máirtin Ó Cadhain, Cré na Cille, Sáirséal agus Dill, Dublino 1949.

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