di Maribel Martínez Sans, “Revista ¡¡Ábrete Libro!!”, traduzione di Simona Lodato.

Il romanzo autobiografico giapponese/novela del yo/(私小説 watashi-shōsetsu)/watakushi-shōsetsu/shi-shōsetsu

Nella cultura giapponese, più che all’individuo, si dà valore alla società; più che alla persona, si dà valore alla famiglia; più che alla superbia dell’io, si dà valore alla capacità di integrazione nel gruppo, occupando ognuno il proprio spazio sociale, senza attriti. Per questo, nella letteratura classica giapponese non si scriveva in prima persona, e fu così fino all’arrivo del cosiddetto “romanzo dell’io”, la watakushi-shōsetsu o watashi-shōsetsu o shi-shōsetsu, un genere utilizzato anche per raccontare il lato oscuro della società o della vita dell’autore, non come esaltazione dei propri valori, ma come esibizione/riconoscimento degli errori individuali.

Secondo Lipovetsky:

nell’avanzamento culturale dell’Occidente durante gli ultimi decenni, la libertà individuale ha acquisito una rilevanza assoluta; ciò spiega come le manifestazioni artistiche abbiano perso il loro antico ardore sociale per concentrarsi in particolar modo sull’individuo. In una società democratica, nella quale tutti i cittadini sono importanti e dove i diritti di tutti devono essere rispettati, persino l’esperienza autobiografica più insignificante merita di essere raccontata.

O, ancora, la libertà è

un’ossessione moderna dell’io nel suo desiderio di rivelare il suo essere autentico.

Gilles Lipovetsky, L’era del vuoto. Saggi sull’individualismo contemporaneo, Luni Editrice, Milano, 2013.

Ci sono diverse regole generali per una shi-shōsetsu pura: la storia deve essere ambientata in uno scenario naturale, completamente realistico; bisogna evitare che risulti troppo manipolata e deve narrare un’esperienza personale. Formula generale: l’autore dell’opera deve essere il protagonista della trama. Idea: quanto più crudo e sincero è il modo di esprimersi, tanto più ci avviciniamo alla verità. L’autore è il collante fra la trama e il proprio spazio vitale e narrativo, deve trasmettere una profonda conoscenza letteraria riferendosi al maggior numero possibile di opere collegate ai sentimenti di un personaggio. Per esempio Hakai (破戒, 1906), di Shimazaki Tōson, opera scritta dal punto di vista di un burakumin (classe discriminata della società giapponese) che decide di disobbedire all’ordine del padre, di non rivelare la loro origine, e Futon (蒲団, 1907), di Tayama Katai, in cui l’autore confessa il proprio affetto per un’allieva (anche se, mi sembra di ricordare, è scritto in terza persona).

novelaautobioQuesto genere ha avuto una notevole evoluzione con le influenze della seconda ondata di autori come Dazai Osamu con Lo squalificato, scritto nel 1948 (Feltrinelli, 1966), dove il giovane studente Yozo descrive la vita dissoluta che conduce a Tokyo e che lo spinge più volte a tentare il suicidio fino a essere ripudiato dalla famiglia; Mishima Yukio con Confessioni di una maschera, anch’esso del 1948 (Garzanti, 1976), in cui il protagonista racconta l’esperienza giovanile dell’eccitazione omosessuale che provava alla vista delle ascelle degli altri ragazzi.

Il grande dramma della Seconda guerra mondiale, raccontato in prima persona da Hara Tamiki in Natsu no Hana (夏の花, 1947) [opera di estrema crudezza, subì molte pressioni durante gli anni della censura che proibiva ai giapponesi la pubblicazione di scritti sulla guerra, ndr], narra gli avvenimenti del 6 agosto del 1945 a Hiroshima, la mattina dell’esplosione della bomba: “Devo la mia vita a un gabinetto”, scrive. Scossi fino alle viscere, tanto Hara Tamiki quanto Nosaka Akiyuki, sentirono l’esigenza di descrivere la dimensione brutale del vissuto: “Devo lasciare una testimonianza scritta di tutto questo”. Ma come tanti altri sopravvissuti ai disastri umani del xx secolo, non riuscì a sopportare il peso della propria  esperienza e si suicidò a Tokyo nel 1951, gettandosi sotto un treno e lasciando un libro toccante e poetico, necessario, desolato e a tratti profondamente umano e commovente.

Nosaka Akiyuki ha scritto nel 1967 Una tomba per le lucciole (Kappalab, 2013). La storia personale dell’autore e le vicende narrate si sovrappongono. Nosaka Akiyuki fugge dalle bombe durante un bombardamento su Kobe da parte dell’aviazione nordamericana. Abbandonerà/perderà la madre adottiva – che morirà – e, proprio come il protagonista del suo racconto, Seita, sarà costretto a occuparsi della sorella di 4 anni, dopo aver vagato tra i resti della città bruciata, fino a quando anche la sorella (Setsuko nel romanzo) morirà di fame. Dal libro è stato tratto un bellissimo film di animazione, sceneggiato e diretto da Takahata Isao.

In una classifica letteraria tradizionale Natsu no Hana e Una tomba per le lucciole appartengono al genere genbaku bugaku (letteratura di guerra), e lo scrittore di questo tipo di narrativa viene chiamato hibakusha (被爆者) [sono coloro che sopravvissero al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki; dal giapponese può essere tradotto letteralmente con “persone affette dall’esplosione”, ndr]. Anche se questi due romanzi sono annoverati nella letteratura di guerra, tuttavia non si può ignorare la carica autobiografica che li permea, molto più di quanto possiamo immaginare.

Il romanzo autobiografico giapponese nel XXI secolo

Il XXI secolo assiste a un’altra ondata di autori le cui opere appartengono ai “romanzi dell’io”: fra tutti, Murakami Haruki con L’arte di correre (Einaudi, 2009). Molto più di una narrazione autobiografica, o di un racconto della passione dell’autore (lui stesso maratoneta) per la corsa agonistica, il libro insegna al lettore a confrontarsi con i propri limiti e a superarli.

Il premio Nobel Ōe Kenzaburo, in Una famiglia (Mondadori, 1997) ci presenta l’intimità della sua famiglia (la moglie Yakari e il figlio Hikari). Hikari, bambino autistico e dotato di orecchio assoluto, è il vero protagonista e l’eroe del romanzo. In Torikaek (取り替え子, 2000), romanzo incentrato sull’arte (letteraria, cinematografica, pittorica e musicale), Ōe Kenzaburo usa la tecnica del prospettivismo, coniata da Akutagawa, rappresentando il processo creativo dell’autore e del suo ambiente per denunciare la carenza di valori sociali. Cosa c’è di autobiografico in questo processo? E cosa, invece, è finzione? Da bambino, a Ōe fu dato il nomignolo di “Kogi”; siccome non gli piaceva il nome “Ōe”, diceva a tutti di chiamarsi “Kogito”, come il protagonista del suo romanzo.

A distinguersi con la sua testimonianza in prima persona è Sasaki Takashi, che in Fukushima vivir el desastre (Satori Ediciones, 2013)  racconta, in forma di diario, del Giappone prima dello tsunami. La voce è quella di un professore di spagnolo in pensione nella città di Minasoma, dove vivono 6.000 persone, a circa 25 chilometri dalla centrale di Fukushima [Il libro nella versione spagnola nasce direttamente dalla trascrizione del blog Monodialogos su cui Sasaki Takashi, sotto lo pseudonimo di Fuji Teivo, ha scritto durante i giorni della tragedia, dal 10 marzo al 6 luglio del 2011, ndr].

 

 

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