Grafias incontra Susan Harris, direttrice di “Words without Borders”. La rivista letteraria internazionale premiata alla London Book Fair di quest’anno con il prestigioso Publishers Weekly Excellence Award.

di Cecilia Raneri e Serena Talento.

 

Abbiamo conosciuto Susan Harris, una delle fondatrici di “Words without Borders”, alla Fiera del libro di Francoforte e, dopo una intensa chiacchierata, le abbiamo chiesto di raccontarci nel dettaglio come è nata e come funziona une delle riviste online di letteratura internazionale più longeve e interessanti del panorama letterario mondiale. Non abbiamo potuto fare a meno di chiederle qualcosa anche riguardo alla sua storia e alle sue esperienze.

“Words without Borders” è un’organizzazione no profit dedita alla traduzione, pubblicazione e promozione della letteratura internazionale. La rivista è nata nel 2003 quando ha lanciato online il suo primo numero mensile. Fino a oggi “Words without Borders” ha raccolto il lavoro di scrittori provenienti da 129 paesi e ha pubblicato più di duemila tra poesie, racconti e interviste tradotti da 109 lingue. Promuove e organizza eventi che prevedono reading degli autori tradotti e dibattiti sulla scrittura e la letteratura.

L’organizzazione sta inoltre per dare il via a un’iniziativa didattica chiamata “WWB Campus”, indirizzata ad aiutare gli insegnanti di scuola superiore a inserire i contenuti pubblicati nella rivista nei loro programmi scolastici.

“Words without Borders” ha recentemente vinto il Publishers Weekly Excellence Award nella sezione International Literary Translation Initiative Award alla London Book Fair di quest’anno.

 

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Susan Harris

Quando ti abbiamo incontrata a Francoforte ci hai trasmesso moltissima energia ed entusiasmo. Guardandoti, appare subito chiaro quanto ami il tuo lavoro e con quanta passione ti ci dedichi. Puoi dirci perché e come hai finito per lavorare nel campo editoriale? Ci racconti qualcosa della tua storia professionale.

Sono stata molto fortunata. Ho sempre amato la letteratura internazionale, ma non conoscevo nessun’altra lingua oltre l’inglese, quindi dovevo leggere tutti i libri che mi interessavano in traduzione. Ho ottenuto la mia laurea di primo livello in Scrittura creativa e Letteratura inglese, avendo inoltre Letteratura comparata come materia complementare. Dopodiché ho frequentato un master in scrittura. Nel 1985 il mio relatore è stato nominato condirettore della Northwestern University Press e aveva bisogno di un assistente. Era molto interessato alla letteratura straniera, in particolare a quella dell’Est Europa, e voleva creare una collana che si occupasse di quella parte del mondo. In questo modo ho avuto l’opportunità di lavorare con lui per creare e ampliare un programma di traduzione dai paesi dell’Europa dell’est. Quando il suo incarico fu terminato, il nuovo direttore mi chiese di provare a espandere ulteriormente il progetto. Così finii per fondare un marchio editoriale di letteratura in traduzione, chiamato Hydra, per riunire le diverse lingue dalle quali attingevamo. Nel 2002 lasciai il mio lavoro alla Northwestern University Press, e un anno dopo sentii parlare per la prima volta di “Words without Borders”. È strano il modo in cui a volte le cose sono collegate: la rivista aveva sede al Bard College, nel dipartimento dei progetti internazionali, e la direttrice del progetto aveva tradotto un romanzo per la Hydra. Mi sono subito messa in contatto con lei, e lei a sua volta mi ha messo in contatto con gli editor, che mi hanno invitata a unirmi a “WWB”. Sono arrivata nell’estate del 2003 e il primo numero della rivista è uscito a settembre.

Quando e come è nata “Words without Borders”?

Il nostro fondatore, Alane Salierno Mason, un senior editor alla W.W. Norton. Inizialmente aveva pensato a “Words without Borders” come a una risorsa per gli editori americani e del Regno Unito che fossero interessati alla letteratura straniera ma non potessero leggerla in lingua originale. Alane raccolse un po’ di fondi e ottenne un finanziamento dal National Endowment for the Arts. Poi coinvolse Samantha Schnee, che era stata editor a “Zoetrope”, e Dedi Felman, che all’epoca lavorava alla Oxford University Press. Loro tre lavorarono insieme per un po’ di tempo prima che la rivista uscisse per la prima volta.

 

Come funziona il lavoro all’interno di un’importante rivista internazionale? Qual è la vostra routine editoriale quotidiana?

Moltissime email. “Words without Borders” ha sede a New York, e i miei tre colleghi lavorano a tempo pieno nel nostro ufficio laggiù. Io invece mi trovo a Chicago, e per questo una gran parte del mio lavoro si svolge attraverso email e messaggi. Facciamo settimanalmente riunioni editoriali e riunioni di redazione alle quali partecipo via Skype. Inoltre mi incontro ogni settimana con un altro dei nostri editor. Quindi per tutta la giornata scambio email con i miei colleghi, ma anche con scrittori, traduttori, editori, agenti, mi occupo dei prossimi numeri in uscita, scrivo e compilo contratti e mi occupo di molte altre cose. Nel corso della giornata posso lavorare su dozzine di argomenti, nonché sul nostro blog, che viene aggiornato tre volte alla settimana, e sulle recensioni di libri che pubblichiamo online. Abbiamo pronta una bozza di piano editoriale che arriva fino alla fine dell’anno prossimo, quindi siamo sempre in contatto con le persone che sono coinvolte ai diversi livelli di ogni articolo.

 

Perché avete deciso di pubblicare “Words without Borders” online invece di stamparla su carta?

È molto impegnativo accedere al mondo dell’editoria su carta: i costi di produzione sono proibitivi e affrontare la distribuzione è difficile. La pubblicazione online ci libera da tutti questi problemi e ci permette di pubblicare i nostri contenuti molto più velocemente.

 

Che cos’è cambiato nell’editoria americana, paragonando la scena attuale con quella esistente quando hai iniziato a lavorare in questo campo?

Naturalmente le cose più ovvie: la tecnologia di oggi è completamente differente, e il risultato è che il ritmo di lavoro è molto più veloce. Gli orari sono molto più stretti e gli staff sono ancora più scarni. Inoltre il mercato è sovraccarico: dobbiamo lavorare molto duro per essere sicuri che le persone che potrebbero essere interessate al nostro lavoro possano trovarci in mezzo a tutta la confusione di internet. L’editoria letteraria è sempre stata difficile, e la letteratura tradotta deve competere non solo con gli altri lavori tradotti, ma anche con tutto ciò che è stato originariamente scritto in lingua inglese. Abbiamo accesso a molto più materiale proveniente dal resto del mondo rispetto a trent’anni fa, e questo ha attirato l’interesse di molti nei confronti delle letterature degli altri paesi. Sono nati diversi nuovi editori, e alcune collane all’interno dei cataloghi di editori già esistenti.

Molti di questi cambiamenti sono positivi. Noi non potremmo pubblicare niente se non esistessero le email o la rete. Raggiungiamo più persone online di quante avremmo mai potuto sperare di raggiungere come abbonati di una possibile versione stampata, e possiamo lavorare con un budget molto più ristretto. È molto più facile trovare le persone con cui collaborare ed è molto più rapido lavorare con loro. Adesso abbiamo molte più risorse. Anche se mi preoccupo per il margine di attenzione limitato di coloro che leggono sui dispositivi mobili.

 

 

Durante tutti questi anni passati a lavorare con scrittori provenienti da tutto il mondo, quali sono state le scoperte letterarie più sorprendenti che hai fatto?

Rimango sorpresa da qualcuno in ogni numero che pubblichiamo: ci sono così tanti nuovi scrittori, da paesi e lingue dei quali prima non conoscevo niente, che fanno un lavoro molto valido. Quando sono arrivata a “WWB” sapevo qualcosa della letteratura europea, ma non sapevo praticamente niente della letteratura del resto del mondo. I primi tre numeri di “WWB” si sono occupati di Iran, Iraq e Corea del Nord, quindi le sorprese e le scoperte sono iniziate fin da subito. Ogni mese è una scoperta. E un piacere.

 

 

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