Per i generosi amici qui ricordati.
di Malva Flores, “Literal Magazine”, traduzione di Simona Palminteri.
Tra i sogni, quelli mancati sono i più veri, o almeno così crediamo. Inseguire un sogno a volte diventa uno stile di vita. Cercare quelli mancati, distesi sul proprio divano. Con la tenacia propria di quelli della Vergine, ovvero accompagnata da una stoltezza astrale, ho inseguito sogni che quando sono diventati realtà hanno rivelato la loro natura effimera, la menzogna che avevo costruito attorno ad una possibilità che, nel concretizzarsi, si è rivelata piatta, scipita, molto più insignificante di quanto non avessi mai immaginato, e che spesso mi ha fatto ripetere in silenzio il detto popolare: “Non chiedere niente a Dio, potrebbe accontentarti”.
“È andato tutto alla rovescia”, ho pensato in alcune occasioni particolarmente difficili, per giustificare gli errori dei miei desideri. Però desiderare qualcosa non è come sognarla. Nel desiderio interviene la volontà, mentre nel sogno c’è qualcosa di impossibile: sentire ancora le palpitazioni adolescenziali per un effimero infatuamento; cantare come Nina Simone in un bar decadente di un porto lontano e oscuro; vivere in una casa piena di viole, sulle sponde del Mediterraneo; coltivare rose e avere una mucca; ricominciare a suonare il piano; scrivere libri.
Scopro adesso che molti dei miei sogni sono desideri irrealizzabili: quello del bar decadente e i trent’anni in meno di cui si ha bisogno per quei palpiti, sì, sono veri sogni in quanto impossibili. Le altre sono bugie o frustrazioni, perché coltivare fiori, quali che siano, mi è stato vietato da non so quale maledizione agricola. Le mucche mi piacciono solo come immagine di una placidità bucolica ed è improbabile che suoni il piano perché difficilmente riesco a tenere una tazza o a scrivere queste parole sulla tastiera del computer senza che un crampo mi ricordi il brutto intervento chirurgico che mi ha miracolosamente salvata. Non so se la questione dei libri sia un sogno o se è ancora un desiderio. La linea sottile che li separa è quella che conduce al divano.
Quasi vent’anni fa io e David decidemmo di realizzare un sogno “a lungo accarezzato”, come dice il poeta. Per realizzarlo, con Sergio Valero e Ari Caséz, “fondammo” una casa editrice, che già nel nome portava impresso il suo destino: Eldorado ediciones. Chiunque faccia libri potrebbe dirvi come abbiamo fatto tutto ciò che non andrebbe mai fatto, però eravamo molto felici. Non avevamo soldi, né volevamo guadagnarne, come del resto si evince dal tipo di libri che desideravamo pubblicare: traduzioni di poesie, versioni che amici e autori generosi hanno messo a nostra disposizione senza ricavarne un solo centesimo. Cento esemplari, fatti a mano, che avremmo anche regalato, e dei quali credo ne vendemmo non più di venti durante la presentazione del primo di questi: Mottetti[1], di Eugenio Montale, tradotto da Ernesto Hernández Busto.
Non vedevamo nella nostra attività nessun tipo di prodezza o di gesto eroico. Volevamo farlo e basta, perché ci piaceva la poesia e perché volevamo fare libri. E in effetti li facevamo: non in una tipografia ma con una stampante laser che fu la prima e unica macchina che comprammo per la nostra “azienda”. Ma anche le stampanti professionali del tempo avevano un piccolo problema: se grattavi un poco le parole stampate, queste scomparivano. L’“ingegno del messicano”, o la sua stupidaggine, ci permise di superare l’ostacolo: ogni pagina veniva spruzzata con un collante e dopo stesa fuori ad asciugare. La carta era molto cara e preziosa, così mi sembrava allora, e credo che ci costasse più il brodo che le polpette, però eravamo felici. Sognavamo.
David ci insegnò a cucire i libri come aveva imparato a fare durante i laboratori a scuola. Una volta cuciti, gli incollavamo le copertine e li impilavamo sotto il peso dei grossi volumi di una vecchia enciclopedia, affinché si asciugassero senza deformarsi. Le copertine erano bianche, perché la carta era troppo spessa per la nostra stampante domestica e, per evitare contrattempi, i libri avevano delle sovraccoperte, queste sì, con la facciata impressa con la nostra stampante laser.
Il secondo volume ci avrebbe riservato diverse sorprese: ogni copia doveva contenere la firma dell’autore e per permettere ciò la traduttrice, Tedi López Mills, avrebbe portato i volumi in Francia affinché Gustaf Sobin potesse firmarli, e poi li avrebbe riportati indietro. L’altra sorpresa era che avremmo aumentato il numero degli esemplari: non più cento, ma centoventi. Il colophon di Odas y murmullos de la laguna extinguida[2] dice che il libro è stato stampato il 12 aprile del 1997, giorno del compleanno di mio padre, ma non è vero, perché ricordo chiaramente le circostanze in cui cucimmo i libri. In base a ciò che leggo su Wikipedia, la partita per le qualificazioni ai Mondiali di Francia del ’98 tra Messico e Stati Uniti si tenne il 20 aprile di quell’anno. Sergio, David, Ari e io non potevamo rimandare il nostro lavoro perché Tedi sarebbe andata in Francia uno o due giorni dopo. E dovemmo cucire mentre guardavamo la partita.
È un grave errore mescolare fra loro due sogni. Mentre guardavamo la partita cucivamo, incollavamo, bevevamo tequila e maledicevamo la squadra del Messico che, alla fine, pareggiò. Sergio e Ari se ne andarono. Noi rimanemmo a pulire casa e quando andammo per mettere le sovraccoperte alle copie ci rendemmo conto del nostro gravissimo errore: c’eravamo dimenticati di metterle sotto l’enciclopedia, così la colla si era già asciugata e i volumi erano pieni di bozzi. Ci mettemmo a piangere, o almeno io lo feci. Erano le dieci di sera quando “l’ingegno del messicano” ci salvò nuovamente. Se le tortillas confezionate nella plastica potevano riscaldarsi e ammorbidirsi al microonde, allora questo doveva funzionare anche con la colla Resistol. A tre a tre, mettemmo le copie nel microonde per tutta la notte, le collocammo sotto i grossi volumi e l’indomani Tedi le ricevette.
Per il successivo e ultimo volume della serie “Serpiente breve”, titolo in onore di un verso di Góngora (“En roscas de cristal, serpiente breve”[3]), ci assicurammo di non guardare partite mentre cucivamo, ma dovevamo capire che il titolo era una sorta di profezia: Aviso a los náufragos[4], di Paulo Leminski, nella traduzione di Rodolfo Mata. Apparve il 12 settembre di quell’anno (o almeno questo dice il colophon) e non ne pubblicammo altri, anche se in quel momento avremmo voluto essere più audaci. Avevamo intenzione di pubblicare un solo e lungo poema, in una bellissima edizione. E desideravamo che fosse Ejercicio de tiro[5], di Octavio Paz. David realizzò un bel quinterno con una poesia di Gonzalo Rojas, Ochenta veces nadie[6], come esempio, e lo portò a Paz. Era il novembre del 1997 quando Marie José lo ricevette nella Casa de Alvarado e gli promise di riferire la richiesta di pubblicazione. L’ultima chiamata che David ricevette da Paz fu alla fine di quel mese e il poeta gli assicurò che ci avrebbe pensato.
Paz morì nell’aprile dell’anno successivo e noi non pubblicammo Ejercicio de tiro. Lasciammo archiviare i nostri sogni, ma, qualche tempo dopo, io e David decidemmo di creare una vera e propria casa editrice, il cui nome, d’accordo con Carroll, era destinato anch’esso a essere ancora una volta un sogno. La nostra azienda si chiamò Snark editores e iniziammo con un libro di Rojas. La storia è lunga. Dopo tanti contrattempi e interminabili chiamate a Chillán, perché il poeta modificava segni, parole e l’ordine delle illustrazioni che Roberto Matta ci aveva inviato, alla fine Diálogo con Ovidio[7] apparve in coedizione con Aldus nel 2000. L’ISBN non lo indica come un volume della Snark e ha solo un nuovo marchio della Eldorado, e questo perché quegli anni furono difficili e non avevamo la forza d’animo per registrare l’azienda, però ricordo con enorme piacere le prove con i cambiamenti di Rojas e la sua simpaticissima presenza in casa durante la settimana che passò con noi quando venne per la presentazione del libro.
In quel periodo, David si era messo in contatto con Jorge Eduardo Eielson per pubblicare una raccolta di sue poesie. Nella sua generosa corrispondenza posso leggere il dolore che gli recò, nel 2002, la morte del compagno, Michele Mulas, i cui disegni illustrarono il De materia verbalis[8], che apparve sempre per Aldus alla fine del 2005, quando noi avevamo già lasciato Città del Messico e vivevamo a Xalapa. Anche se la Snark esisteva dal 2004, il libro ha il marchio Eldorado e non ha il nostro ISBN. Non sappiamo se Eielson arrivò a vedere il libro. Morì nel marzo del 2006 e adesso che riguardo le lettere posso leggere anche le ripetute scuse di David per il ritardo della pubblicazione del libro e non so quante altre storie sull’infruttuosa caccia della nostra Snark.
[1] Eugenio Montale, Motetes, traduzione di Ernesto Hernández Busto, Eldorado ediciones, Città del Messico 1997. I Mottetti, composti da Montale fra il 1933 e il 1940, costituiscono la seconda sezione della raccolta poetica Le occasioni, la quale, pubblicata per la prima volta nel 1939 presso i tipi dell’Einaudi, ebbe la propria edizione definitiva, sempre presso l’editore torinese, nel 1940.
[2] Gustaf Sobin, Odas y murmullos de la laguna extinguida, traduzione di Tedi López Mills, Eldorado ediciones, Città del Messico 1997.
[3] Il verso è l’incipit di Oda a la toma de Larache. Per un’edizione aggiornata delle opere del poeta cordovano si veda Luis de Góngora y Argote, Obras completas, a cura di Antonio Carreira, Fundación José Antonio de Castro, Madrid 2000. Per la traduzione del verso ricorriamo alla versione di Alda Croce: “In squame di cristallo, serpente breve”; Alda Croce, La poesia di Luis de Gòngora, in “La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia diretta da B. Croce”, n. 42, Napoli 20.III.1944. Nella “Nota della rivista” che accompagna in calce l’inizio del primo dei due saggi dedicati al poeta a firma di Alda Croce si può leggere: “Questa è l’introduzione e il primo capitolo di una monografia su Luis de Góngora, che sarà la prima in Italia e forse la più compiuta e particolareggiata nella letteratura gongorina. […] La monografia è già pronta per la stampa; e sarà stampata tostochè le presenti difficoltà tipografiche permetteranno”. Non vengono date ulteriori indicazioni in merito al titolo del volume. E negli archivi bibliotecari non c’è nessuna traccia di un volume monografico dedicato a Gòngora a firma di Alda Croce. In compenso, qui si possono leggere l’uno e l’altro saggio menzionati.
[4] Paulo Leminski, Aviso a los náufragos, edizione curata e tradotta da Rodolfo Mata, Eldorado ediciones, Città del Messico 1997.
[5] Octavio Paz, Ejercicio de tiro, in “Vuelta”, n. 233, Città del Messico, aprile 1996.
[6] Gonzalo Rojas, Ochenta veces nadie, in “Vuelta”, n. 253, Città del Messico, dicembre 1997.
[7] Gonzalo Rojas, Diálogo con Ovidio, illustrazioni di Roberto Matta, Aldus-Eldorado ediciones, Città del Messico 2000.
[8] Jorge Eduardo Eielson, De materia verbalis, illustrazioni di Michele Mulas, Aldus-Eldorado ediciones, Città del Messico 2005.