di Elena Altuna, “Revista Cronopio”, traduzione di Valeria Merante.
Una delle forme in cui meglio si esprime la nozione di scrittura intesa come luogo d’incontro fra arti diverse è il “libro-oggetto”. Le avanguardie svilupparono questa idea nel primo decennio del XX secolo e Cortázar la riprese in Ultimo round[1], Il giro del giorno in ottanta mondi[2], Humanario[3], Silvalandia[4] e Territorios[5], tutte opere che aspirano a catturare la corrispondenza tra musica, pittura, fotografia e letteratura, in modo simile a quello degli objet trouvé di André Breton e Max Ernst.Messo in atto dal punto di vista della scrittura, questo metodo produce uno spostamento dei confini fra i generi, già alterati dall’avvento di forme “minori” come il fumetto, i graffiti o l’arte della lettera dedicatoria.
Contenuta nel volume Territorios (1978), Passeggiata tra le gabbie[6] è la lettera-prologo all’edizione italiana del Bestiario[7] realizzata dal pittore e disegnatore austriaco Aloys Zötl e pubblicata nel 1972 da Franco Maria Ricci. Mi inoltrerò per alcuni sentieri di questo testo, al fine di far emergere, esplorandone la prospettiva poetica, una concezione dell’arte intesa come chiave di accesso a un sapere ben più ampio di quello raggiungibile con la sola ragione.
Non sto certo esplorando nulla di nuovo, dato che la critica si è occupata sin da subito di mostrare i legami tra il surrealismo e il nostro autore, come di affrontare questa parte della sua produzione attribuendole l’etichetta del genere fantastico. Vorrei soltanto mettere in dubbio l’efficacia di questa categoria – tanto discussa e discutibile quanto quella di realismo magico – poiché bisogna prendere atto di una tradizione che, secondo un’estetica delle corrispondenze, si presenta, ai nostri occhi, ben più vasta e complessa.
Dei bestiari
Dalla pubblicazione di Bestiario[8], nel 1951, una fauna a volte sinistra, quasi sempre enigmatica, è andata moltiplicandosi. Se la mitologia – pensiamo ad esempio alla prima edizione de I re[9], datata 1949 – apporta alcuni elementi: non solo personaggi ma anche architetture come i labirinti; a cominciare dall’esperienza parigina, va affermandosi una presenza sempre più rilevante di creature spogliate delle connotazioni della tradizione classica e sempre più vicine alla tradizione ludica. Questi “animali di parole e fumo” nascono o si stabiliscono in luoghi di passaggio. Questa fauna trova la sua origine in quegli “affascinanti ibridi di conoscenza e poesia”, per dirla con le parole di Ramón Alba, che sono i bestiari medievali, le cui fonti bibliche si collegano alla tradizione scientifica dell’antichità classica, e che riappaiono nella modernità a sostegno della zoologia, la quale poi finirà per scindersi dal territorio poetico.
Nel suo “Prologo” al Bestiario d’amore[10] di Richard de Fournival, Ramón Alba sostiene che i bestiari siano considerati incidenti del pensiero analogico, fondati sulla somiglianza casuale ed estranea alla coerenza logica, che percorrono sotterraneamente la cultura occidentale, lungo un versante parallelo a quello del razionalismo. Basti ricordare che i bestiari medievali assumono notevole importanza nella tradizione copistica dei secoli XII e XIII, periodo nel quale predominano le immagini del “libro della natura” e delle corrispondenze occulte tra gli esseri. Secondo Giorgio Agamben (Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 1977), la lettura a chiave, che aspirava a decifrare il linguaggio segreto delle cose, creava una connessione tra la tradizione ermetica e la tradizione medico-filosofica dell’antichità, per poi giungere al campo letterario degli stilnovisti.
Questo poderoso immaginario, venutosi a creare grazie al costante impegno nel riportare alla luce le opere dell’antichità, fu il prodotto dell’attività dei copisti dei monasteri e rispondeva alla missione della riproduzione della cultura. Ma proprio nello iato tra il testo di partenza e il testo copiato si manifesta la possibilità della creazione; nella differenza tra l’oggetto osservato e il tratto grafico o la scrittura che sembrano imitarlo si rifugia l’istante in cui qualcosa si intravede per la prima volta. Lo sguardo torna su ciò che è stato già disegnato o descritto, per foggiare, come in una sedimentazione, l’impronta di un nuovo spazio-tempo. Cortázar sottolinea:
Quella qualità che solo la parola inglese uncanny può rendere, è la tappa finale del processo, quell’istante nell’esecuzione di un testo o di un’immagine in cui il creatore esercita sovranamente la propria libertà. Mi è sempre sembrato che questo sia il tratto distintivo dei bestiari medioevali; se il rispetto acritico dell’autorità e la mentalità scolastica guidano il lavoro, i risultati vanno ben oltre la mera trasmissione di errori o di traduzioni ingannevoli; subito si presagiscono gli Zötl in azione, il loro specialissimo modo di dar adito alla fantasia e al mistero […] fino a creare via via volontariamente una realtà parallela. (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 110)
Ritengo che qui, lungo il confine dello “strano” e dello “stra-ordinario”, corra il discrimine fra la semplice ri-produzione e la creazione vera e propria, la possibilità stessa di esercitare la libertà attraverso l’arte in società fortemente controllate dal potere. L’estetica del frammento quindi come esercizio della resistenza contro il panottico. A dispetto dell’umiltà con cui l’autore anonimo o il compilatore “obbediscono” alle loro fonti, una “ars combinatoria” prende vita in ciò che, a una prima lettura o a una lettura lineare, potrebbe apparire come una mera riproposizione della “auctoritas”, mentre in realtà ne è il superamento.
Cortázar fa un esempio lampante. Se Aristotele e Plinio affermavano che gli elefanti e i leoni si accoppiano di spalle, non solo perché hanno i genitali capovolti, ma anche perché sono estremamente pudichi, si dirà anche, con una presa di potere da parte dell’immaginazione, che per rubare il cucciolo di una tigre è sufficiente lanciarle una palla di cristallo – “cosa come si vede estremamente semplice”[11] – così che, ingannata dal suo stesso riflesso, possa credere di abbracciare suo figlio. Sequenza che, a sua volta, ne genera un’altra – altrettanto delirante – contenuta nella traduzione dal latino all’inglese di T.H. White di un bestiario del XII secolo[12]:
Se la tigre insegue l’uomo, l’uomo insegue il banacón (secondo White il bisonte), che per disgrazia sua non dispone di bocce di vetro per confonderlo, ma in cambio emette un peto talmente spaventoso da incendiare i boschi tre acri tutto intorno e si capisce quanto restino scoraggiati i cacciatori. (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 114)
Una tale deriva rappresenta la trasgressione all’ordine prestabilito della copia, interrompe la mera imitazione e contribuisce a creare una scena, narrata o dipinta, prodotta dalla casuale relazione fra i fattori. Come una lingua nomade, costruisce zone intermedie in cui, secondo la stessa intuizione del surrealismo, è possibile “pensare il meraviglioso” e imbattersi nelle alleanze segrete tra gli esseri che abitano il mondo.
Il bestiario di Aloys Zötl
“Con che occhi avrà guardato Zötl i suoi animali? Non sappiamo né sapremo mai se partiva da modelli vivi, eccetto nei casi più accessibili; il resto dovette essere preso da stampe e in parte da descrizioni” (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 108), congettura Cortázar, in una trama che rimanda a Breton, il quale aveva scoperto il pittore austriaco, che fu del tutto ignorato dal suo tempo. Fu proprio Breton a sottolineare che la grande lezione di Zötl si trova soprattutto nelle opere in cui tra l’animale e lo scenario che lo circonda si stabilisce un’intuizione poetica.
Secondo il Breton proto-ecologista dei Vasi comunicanti[13], che aveva avvertito la necessità di trovare un equilibrio tra l’uomo e la natura, la pittura naïve di Zötl ristabilisce le corrispondenze tra l’animale e ciò che lo circonda attraverso l’intuizione poetica che ne guida il tratto; senza di essa, le informazioni che ci vengono dalla storia naturale o dai libri di viaggio si limiterebbero alla mera riproduzione.
Gli animali di Zötl non solo si confondono con il paesaggio, ma sembrerebbero manifestare la loro anima come “anima del mondo”, vigilando su di noi e guardandoci dall’alto della loro saggezza, trasmettendoci qualcosa. Altrettanto curioso è il fatto che Aloys Zötl, che visse tra il 1803 e il 1887, abbia realizzato la sua opera in piena era positivista, seguendo una concezione quindi diversa da quella imperante nel disegno botanico o zoologico; il pittore austriaco utilizza una tecnica dal tratto estremamente accurato, senza però “riprodurre” la figura dell’animale; uno sguardo attento infatti rivela che la figura si è espansa in altre zone, il suo contorno si è integrato con altri oggetti, provocando nello spettatore una sensazione d’inquietudine.
Tale apertura coincide con il concetto bretoniano di “grands transparents”: il sipario che copre la realtà fenomenica squarciandosi ci permette di distinguere una surrealtà che si intravede nelle forme nascoste nelle cose, come si manifesta negli objet trouvée, nelle coincidenze, nel sogno o nell’amore. Nel bestiario di Zötl, la resistenza alla copia speculare è, secondo Cortázar, ciò per cui “le mani delle sue scimmie siano in maniera tanto inquietante lunghe e umane, che quasi mai niente sia al suo posto giusto mentre è quel che mai dovrebbe essere per la tranquillità dei benpensanti”. (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 116).
Questo tentativo di osservare fuori fuoco la realtà per far emergere la trama segreta degli esseri, era già stato fatto tra i secoli XVI e XVII, con il procedimento visivo e verbale dell’“anamorfosi”, la deformazione di un’immagine attraverso l’utilizzo di mezzi meccanici o ottici che dà luogo a un cambio di prospettiva, come succede quando uno sfondo diventa la figura che vi è sopra disegnata.
Dalì utilizza l’anamorfosi e Freud la riprende in Psicanalisi dell’arte[14] quando analizza il quadro di Leonardo, Sant’Anna, la Vergine e il bambino con l’agnellino: a guardarlo attentamente, sulla gonna della santa si scorge l’immagine di un avvoltoio.
Ciò che è davvero importante è come la realtà fenomenica si distacchi dalle altre dimensioni se lo sguardo riesce a cogliere tali momentanei slittamenti. “Zötl ha ragione” sostiene Cortázar. “Non è necessario inventare animali favolosi se si è capaci di rompere i gusci dell’abitudine […] e mettersi dalla parte della prima volta, dell’unica volta in cui si vede e si conosce realmente qualcosa”. (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 62)
Una tale concezione del sapere, com’è facile intuire, non può essere limitata soltanto all’ambito del fantastico senza rischiare talvolta di travisarne gli effetti. Per questo, nella parte del testo dedicata al commento, vengono criticati i vampiri di Hollywood e i facili esorcismi di un regista come Polanski, ma vengono salvati due momenti: la scena in cui King Kong strappa il vestito a Fay Wray e se lo mangia – espressione di un erotismo tanto squisito quanto patetico – e un film di cui Cortázar dice di non ricordare il titolo, nel quale una lente deformante cerca di catturare le immagini come se a fissarle fosse un gatto che ha assistito all’assassinio della propria padrona. Due punti di vista, due prospettive, quella umana e quella animale; e di quest’ultima sappiamo davvero poco.
Passeggiata tra le gabbie
Il tempo e lo spazio si fondono magistralmente nel testo di Cortázar; da un lato c’è il rimando ai bestiari medievali dall’altro la ripresa dei propri bestiari; e infine l’organizzazione del testo come una mappa. La scrittura disegna una passeggiata tra le gabbie – dall’incedere rilassato ma attento – che, dal punto di vista della struttura, presenta spazi delimitati e allo stesso tempo mette in scena quelle “trasparenze” che confondono i confini di genere.
In questo modo, per esempio, il testo, concepito per essere pubblicato come “prologo”, assume i tratti di una lettera indirizzata a Franco Maria Ricci. Il tono amichevole, quasi confidenziale, gli permette di parlare della casualità, di gettare ponti:
E ora, Ricci, nel suo invito ad accostarmi al bestiario di Aloys Zötl, tutto ciò si presenta accomunato. Da un lato, l’esatta concatenazione di affinità fra un uomo che disegnò il suo regno animale da un angolo austriaco e un tempo romantico, e un altro che partendo da Buenos Aires o da Parigi viene da molti anni ormai proponendo verbalmente creature d’incerta ecologia […] e lei lancia un coerente ponte fra Zötl e me. (Il bestiario di Aloys Zötl, pp. 47-48)
L’editore è un intermediario (“lei arrivò per vie logiche”[15]) che spalanca la porta del bestiario e, in ogni caso, è uno spettatore complice che rende possibile l’accesso al territorio dell’autobiografia letteraria. Tra gli elementi chiamati in causa dal testo di Zötl figurano gli incubi dell’infanzia, i sogni, che si intersecano con le allusioni ad altri testi dello stesso Cortázar, con riferimenti alle sue letture. La distanza tra l’“al di qua” e l’“al di là”, attraverso questo procedimento di relazione casuale tra gli elementi, si annulla nell’affiorare di realtà parallele: passato, infanzia, terrori notturni.
“Là nel mio paese”[16]: il fiume divorante di formiche che giunge a sovrastare i campi della pampa, il terrore per la “corrección” che spazza via ogni cosa avanzando nella foresta misionera, lì dove ha visto una donna pestare uno yararà a colpi di ombrello. Da questo lato, il presente dell’estate a Saignon:
Vado e vengo, Ricci, ma qualcosa che somiglia al muro di elefanti non mi permette di uscire dall’arena che come se non bastasse è andata riempiendosi delle immagini di Zötl, presenti sulle pareti di questa stanza provenzale dove lavoro fra zanzare d’agosto. (Il bestiario di Aloys Zötl, p. 74)
Il tempo diventa spazio nella deriva di una scrittura sovrastata da una rigorosa casualità; le locuste del ricordo si sovrappongono al racconto del presente immediato: l’arrivo del supplemento letterario del Times, la lettura di Gnat on my paper[17]: “Ha quattro piedi/Esplora ciò che sto scrivendo ora”, la poesia che annulla in un colpo solo le coordinate della convenzione realista.
In alcuni momenti, il lettore si domanda chi sia a parlare, di chi si parli nel testo; e la realtà non vuole muri, ma solo che il sipario sia squarciato, né durata: Zötl nel suo angolo d’Austria, Cortázar a riscrivere le orme delle sue creature in una Buenos Aires nella quale – segnala Julio Schvartzman[18] – “i ‘mostri’ del 1951 completavano un bestiario che veniva pubblicato in un paese segnato da quella che qualcuno aveva chiamato l’‘alluvione zoologica’” (1996, p. 19), o in una Parigi la cui pesantezza viene esorcizzata dal pinchajeta e goduta dai cronopios. Creature il cui ricorrere evoca l’infanzia, quando il sogno del Banto era più reale delle vaghe notizie politiche che parlavano di Irigoyen o della guerra tra Paraguay e Bolivia.
Senza troppa immodestia son venuto apportando qui e là alcuni ritocchi alla visione naturalistica delle cose, sorretto da una specie di permanente sospensione dell’incredulità, condizione non sempre favorevole nella città dell’uomo, ma che fin da bambino aprì le pagine di un bestiario in cui tutto era possibile. (Il bestiario di Aloys Zötl, pp. 98-100)
Questa permanente rielaborazione del passato nel presente in vista della realizzazione del futuro, quel “tempo estetico” o “tempo dell’immaginazione” studiato da Bergson e Bachelard, è una via di accesso alla conoscenza attraverso la memoria o la percezione delle corrispondenze segrete. Un bestiario è, pertanto, uno spazio che può essere letto anche in chiave politica. Una passeggiata tra le gabbie di una realtà che, nel 1976, viene riportata per mezzo di analogie:
Come il fascismo, Ricci, esistono animali che sono capaci di attaccare solo a partire dal gregario, come i piraña o le formiche di Misiones[19] […] basta seguire da vicino le notizie sul Vietnam, sul Brasile, sulla mia patria, la lista è lunga e orribile. Un giorno li stermineremo, Ricci, perché Zötl, voglio dire l’immaginazione, sta dalla nostra parte mentre loro posseggono soltanto la forza. Per questo è bene che continuiamo a moltiplicare le polveri mentali, l’umore che cerca e favorisce i mutamenti più pazzi, per questo è bene che esistano i bestiari zeppi di trasgressioni, di zampe dove dovrebbero essere le ali e di occhi messi al posto dei denti[20]. (Il bestiario di Aloys Zötl)
Ben venga dunque la rappresentazione cristallina, sì, dell’orrore generato dalla negazione del dissenso, della violenza degli sciacalli, ma largo anche alla straordinaria capacità dell’immaginazione artistica di creare, contro tutte le riproduzioni, uno spazio di libertà.
[1] Julio Cortázar, Último round, Siglo XXI, Città del Messico 1969; Ultimo round e altri scritti politici (1966-1983), a cura di Associazione Amici di Julio Cortazar e Assunta Mariottini, Linea d’ombra, Milano 1992; Ultimo round, traduzione di Eleonora Mogavero, Alet, Padova 1997.
[2] Julio Cortázar, La vuelta al día en ochenta mundos, Siglo XXI, Città del Messico 1967; Il giro del giorno in ottanta mondi, traduzione di Eleonora Mogavero, Alet, Padova 2006.
[3] Julio Cortázar, Alicia D’Amico, Sara Facio, Humanario, La Azotea, Buenos Aires 1976.
[4] Julio Cortázar, Julio Silva, Silvalandia, Alfaguara, Buenos Aires 1996; Silvalandia, traduzione di Laura Richichi, Vertigo, Roma 2007.
[5] Julio Cortázar, Territorios, Siglo XXI, Città del Messico 1978.
[6] Julio Cortázar, Passeggiata tra le gabbie in Animalia, traduzioni di Irene Buonafalce, Cesare Greppi, Vittoria Martinetto, Flaviarosa Nicoletti Rossini, Cecilia Rizzotti, Einaudi, Torino 2013.
[7] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, la traduzione di Passeggiata tra le gabbie presente nel volume (e ripresa in questa sede) è di Flaviarosa Nicoletti Rossini, Franco Maria Ricci Editore, Milano 1972.
[8] Julio Cortázar, Bestiario, Editorial Sudamericana, Buenos Aires 1951; Bestiario, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini e Vittoria Martinetto, Einaudi, Torino 1965.
[9] Julio Cortázar, Los reyes, Gulab y Aldabahor, Buenos Aires 1949; I re, traduzione di Ernesto Franco, Einaudi, Torino 1994.
[10] Richard de Fournival, Bestiaire d’Amour, (seconda metà del XIII secolo); Bestiario de Amor, traduzione di Ramón Alba, Miraguano, Madrid 1990; Il bestiario d’amore, traduzione di Francesco Zambon, Pratiche, Parma 1987; Il bestiario d’amore, traduzione di Francesco Zambon, Carocci, Roma 1997.
[11] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, , p. 112.
[12] Terence Hanbury White, The Book of Beasts, Readers Union, Londra 1956 (raccolta e traduzione di bestiari latini del XII secolo).
[13] André Breton, Les Vases communicants, Éditions des Cahiers Libres, Paris 1932; I vasi comunicanti, a cura di Annamaria Laserra, Lucarini, Roma 1990.
[14] Sigmund Freud, Psychoanalytische Studien an Werken der Dichtung und Kunst, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Lipsia-Vienna-Zurigo 1924; Saggi sull’arte, sulla letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino 1969.
[15] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, p. 50.
[16] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, p. 76.
[17] Richard Eberhart, Gnat on my paper in Hour, Gnats, Putah Creek Press, Davis 1977; e successivamente in Collected Poems, 1930-1986, Oxford University Press, New York 1988.
[18] Julio Schvartzman, Microcrítica. Lecturas argentinas (cuestiones de detalle), Editorial Biblos, Buenos Aires 1996.
[19] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, p. 80.
[20] Aloys Zötl, Il bestiario di Aloys Zötl, pp. 129-130.