di Bang Min-Ho, “Korean Literature Now”, traduzione di Daniela De Lorenzo
La Corea del Sud potrebbe sembrare un paese molto strano agli occhi di chi è abituato a vedere l’Occidente come la patria del cattolicesimo e del cristianesimo, il mondo arabo come la sfera islamica e l’Estremo Oriente come l’area buddhista. In Corea del Sud ci sono chiese cattoliche in ogni diocesi mentre quelle protestanti pullulano in tutte le città e le montagne sono costellate di templi buddhisti. Nella capitale Seul infine c’è anche una moschea centrale.
Se consideriamo quanto piccola sia la comunità cristiana in Cina e come la popolazione del Giappone sia composta perlopiù da buddhisti o shintoisti, il pluralismo religioso della Corea del Sud può apparire davvero singolare. I coreani sono molto aperti a nuovi credi religiosi e accolgono con piacere i vari sistemi di credenze diffusi nel resto del mondo. In questo lungo processo di adattamento religioso si è delineata una particolarissima tendenza sociale per la quale fedeli di diverse religioni convivono fianco a fianco senza problemi e senza contrasti. Ma un pluralismo religioso di questo tipo non si raggiunge certo dall’oggi al domani.
Situata nel nordest asiatico e collegata geograficamente alla Siberia, la penisola coreana viene per tradizione ricondotta alla sfera d’influenza dello sciamanesimo. Lo sciamanesimo è una forma di coscienza religiosa per la quale esiste una profonda connessione tra i vivi e i morti, in particolar modo con i propri antenati. Dopo che si è terminata la propria esistenza in questo mondo, si conduce una nuova vita sotto forma di spiriti, continuando a influenzare il mondo dei vivi. Ed è lo sciamano, o spirito medium, a far sì che vivi e morti comunichino tra loro. Sembra che nell’antichità lo sciamanesimo fosse l’unica religione esistente nella penisola coreana e non è raro sentir dire che, sebbene i coreani seguano religioni diverse, ancora oggi alla base di ogni loro credenza o pratica religiosa c’è una mentalità sciamanica.
Circa 1.600-1.700 anni fa, durante il periodo dei Tre regni di Koguryo, Paekche e Silla, il buddhismo e il confucianesimo penetrarono nella penisola dall’India e dalla Cina. Durante le dinastie dei regni di Silla unificato, Koryo e Chósen, lo sciamanesimo, il buddhismo e il confucianesimo continuarono a contendersi il dominio della società coreana. Fu l’arrivo della chiesa cattolica a determinare un enorme cambiamento nell’ordine tradizionale delle religioni.
Dall’epoca della Imjin Waeran, l’invasione giapponese della Corea (1592-1598), fino al viaggio del primo martire cattolico coreano Yi Seung-hun a Pechino, dove ricevette il battesimo (1784), un piccolo numero di coreani rimase segretamente in contatto con la chiesa cattolica. Intorno al 1800, durante la dinastia Chósen, i fedeli cattolici crebbero di numero con estrema rapidità, divenendo oggetto di gravi persecuzioni. Una nuova era ebbe poi inizio nel 1885, quando i preti metodisti e presbiteriani visitarono la Corea.
Il cristianesimo era considerato parte del Seohak (“dottrina occidentale”) e lo si vedeva come un simbolo della nuova civiltà importata dall’Occidente. L’introduzione di questa nuova religione occidentale determinò anche una presa di consapevolezza del bisogno di riformare le religioni tradizionali e portò alla fondazione del Donghak (“dottrina orientale”), ad opera di Choe Je-u nel 1860.
Oggi il termine Donghak è sinonimo di cheondogyo (“insegnamento della via del cielo”), o ceondoismo, una nuova fusione di principi confuciani, buddhisti e taoisti. Il ceondoismo è un’interessante religione moderna propria della Corea secondo la quale gli esseri umani sono l’incarnazione del cielo e gli elementi del creato – montagne, ruscelli, piante ed erba, uomini e donne, vecchi e giovani – sono tutti uguali e tutti manifestazione della vera forma dell’universo chiamata “Haneul”.
In questo periodo, alla tradizionale coscienza religiosa coreana si affiancarono le moderne religioni riformiste e le nuove religioni occidentali, in una pacifica convivenza.
Una particolare commistione che si accentuò ulteriormente negli anni in cui la sovranità nazionale della Corea passò sotto il controllo del Giappone (1910-1945). Dopo aver riconquistato l’indipendenza, alla fine della Guerra del Pacifico, e con la successiva divisione del territorio coreano[1], in Corea del Sud si verificò una costante crescita del cristianesimo per via dell’influenza senza precedenti esercitata ora dal mondo occidentale e, in particolare, dell’America. Ciononostante, l’influenza dello sciamanesimo, del buddhismo e del confucianesimo rimase profondamente radicata nel popolo e nella realtà coreana.
I romanzi e la poesia della Corea contemporanea esprimono in modo profondo ed estremamente acuto le diverse esperienze religiose che attraversano la società. In effetti, un gran numero di poeti coreani ha uno stretto rapporto con più di una delle religioni maggioritarie della Corea. Anche fra le opere di scrittori che all’apparenza non esprimono la propria coscienza religiosa, ci sono casi in cui, guardando a ciò che si cela dietro le loro storie, si scopre un sottotesto di profonda riflessione religiosa.
Possiamo allora dire che la letteratura coreana moderna esprime il pluralismo religioso in tutta la sua complessità. Ci sono, d’altro canto, anche moltissime opere letterarie che affrontano la ricerca interiore esprimendo disapprovazione e scetticismo nei confronti di tale moltiplicazione di istanze religiose. Le opere più complesse ricreano sul piano simbolico le crescenti sofferenze che la società coreana ha dovuto affrontare nel corso della storia moderna e contemporanea, generate dal conflitto e dall’antagonismo tra le religioni tradizionali e quelle nuove ed esotiche.
Un esempio molto significativo è il romanzo La sciamana di Chatsil[2] di Kim Tong-ni, autore nato e cresciuto a Gyeongju, che nell’antichità era stata capitale del regno di Silla con il nome di Seorabeol. Si tratta di una storia che descrive vividamente il conflitto tra sciamanesimo e cristianesimo. Woogi, figlio di una sciamana di nome Mohwa, va via di casa per farvi ritorno convertito al cristianesimo evangelico. La famiglia di Mohwa, di cui fa parte anche la figlia muta Nangi, riflette nel microcosmo domestico gli antagonismi e le contrapposizioni religiose che attraversano la società coreana. Il conflitto finirà con il provocare la morte del figlio e, in seguito, anche di Mohwa. In quest’opera, Kim fa propria la visione per la quale lo sciamanesimo, incluso il suo tradizionale rito Gut, sopravvivrà anche nel mondo moderno, così come finora è riuscito a risalire i secoli. Anche se alla fine della storia Mohwa muore, la sua fine assume il significato di un rito sacrificale e della vittoria dell’anima.
Il buddhismo è una delle religioni più antiche della Corea e insegna che decostruendo il concetto di “io”, di ego, si può raggiungere la propria autentica salvezza. È un’idea che ha influenzato il mondo interiore di molti romanzieri e poeti moderni. Nella poesia zen Adukhan Songja, pubblicata in inglese con il titolo Distant Holy Man[3], del poeta e monaco buddhista Cho Oh-hyun, la voce poetica esprime la sostanziale irrilevanza della vita attraverso l’immagine dei “moscerini”, piccoli esseri che vivono solo vite brevissime. Per mezzo di un linguaggio paradossale che eleva questi esserini al rango di insigni uomini di fede, il monaco-poeta cerca di trasmettere il mondo della verità buddhista a cui ha dedicato la propria vita.
Il poeta Moon Taejun è rappresentativo di un gruppo relativamente più giovane di poeti buddhisti. Nella poesia che in inglese si intitola Naked foot[4], paragona una vongola gigante, vista al banco del pescivendolo, al Buddha.
Il “piede” della vongola che fuoriesce dal guscio richiama alla mente la storia del discepolo Kāśyapa, arrivato da molto lontano per vedere il Buddha, quando questi era ormai già morto e aveva raggiunto il nirvana; a quel punto i piedi del Buddha spuntarono fuori dalla bara per salutare il suo amico. La poesia allude al fatto che chiunque ha le potenzialità per raggiungere uno stato di profonda autoriflessione se si riesce a percepire la sacralità di una vongola gigante.
Il romanzo Mandala[5] di Kim Seong-Dong è un’opera controversa che mette in scena l’angoscia di una giovinezza spesa in solitudine lottando per raggiungere l’illuminazione buddhista. Il titolo si riferisce all’immagine che rappresenta i vari stadi da attraversare prima di poter giungere all’illuminazione nelle sette del buddhismo esoterico. La storia descrive i grandi sforzi di un giovane monaco buddhista, Beobun, che cresciuto nell’oscurità dopo la morte del padre, massacrato in una strage durante la Guerra di Corea, lotta per liberarsi dal tormento della vita. All’interno della tradizionale corrente Seon (Zen) del buddhismo coreano i praticanti si pongono quesiti paradossali o enigmatici chiamati hwadu al fine di raggiungere l’illuminazione.
Ne è un esempio l’“oca nella bottiglia” citata a un certo punto del romanzo. Beobun ricerca la vera natura dell’esistenza per raggiungere l’illuminazione, ponendosi la domanda: “Come si fa a tirare fuori un’oca da una bottiglia?”. Un quesito che affonda le sue origini in una favola buddhista. Nel corso del romanzo, mentre piange la perdita di un monaco di nome Jisan, morto dopo aver violato i comandamenti buddhisti, Beobun raggiunge un livello più alto di comprensione dello hwadu che si era posto.
L’influenza del cristianesimo sui coreani moderni è stata pari solo alla sua novità, e per quanto riguarda la letteratura, non solo gli scrittori coreani ne hanno abbracciato il credo da diversi punti di vista, ma hanno anche reso la natura stessa del cristianesimo strumento di profonda introspezione.
Nelle due poesie nella versione in inglese The Cross[6]di Yun Dong-ju e Autumn Prayer[7] di Kim Hyunseung emerge chiaramente come questi poeti cercassero di difendere le proprie vite in modo puro e perfetto attraverso le forme della riflessione e della contemplazione cristiana. Yun Dong-ju fu ucciso da un esperimento medico condotto su di lui nel carcere di Fukuoka, in Giappone, dov’era stato recluso alla fine della guerra del Pacifico con l’accusa di essere un nazionalista; Kim Hyunseung era un poeta che invece aveva creato un particolarissimo mondo letterario-religioso, essendosi formato in una tradizionale scuola cristiana. Le poesie cristiane di questi due poeti possono essere viste come il tentativo di superare la tumultuosa storia moderna della Corea per mezzo del concetto cristiano di salvezza.
Le riflessioni sulla cristianità presenti nelle opere degli scrittori contemporanei tendono a esprimere in modo molto severo le contraddizioni e i conflitti generatesi in quello spazio compreso tra gli ideali cristiani e l’etica delle vite reali.
The abject[8] è il titolo inglese di una controversa opera di Yi Chong-Jun che mette in discussione l’autorità, il valore e i limiti della religione affrontando il tormento causato dalla morte di un bambino per mano del suo rapitore. Quest’opera rappresenta una durissima sfida posta alla logica della salvezza cristiana ed è stata poi adattata per il cinema dal regista Lee Chang-dong, con il titolo Secret Sunshine. A un certo punto della storia la madre del bambino non riesce più a sopportare l’idea che il rapitore, Kim Doseop, abbia raggiunto la pace tra le braccia di un dio indulgente e decide di porre fine alla propria esistenza.
Il racconto satirico di Lee Kiho, in inglese intitolato Choi Sun-dok, Filled with the Holy Spirit[9], illustra i limiti del tentativo di interpretazione cristiana della società coreana e lo fa attraverso gli ingenui meccanismi mentali che si producono nel personaggio di Choi Sun-dok quando quest’ultima si trova alle prese con un maniaco esibizionista. Riproducendo la composizione narrativa e lo stile della Bibbia, il racconto coglie tutta l’irrazionalità della società coreana con acuta penetrazione.
La religione è qualcosa che sta al centro di ogni paese, di ogni società e di ogni tradizione culturale. Le città-stato dell’antica Grecia avevano ognuna i propri dei e gli uomini liberi, per confermare il proprio status di cittadini e l’appartenenza a una città-stato in particolare, dovevano presiedere alle cerimonie di adorazione degli dei di quella determinata città.
Invece di un divino “unico e solo” in senso classico, o di un’esclusiva “purezza” religiosa, la società coreana moderna ha intrapreso la strada del sincretismo e del pluralismo religioso. La letteratura coreana ha affrontato direttamente la complessa composizione e la mentalità di questo ambiente sociale e molte opere continuano a scandagliare nel fondo questo fenomeno. È una letteratura la cui tradizione si compone di numerose forme di espressione di derivazione religiosa, le quali si confrontano con l’introspezione e la coscienza devozionale, e ancora oggi proprio la letteratura continua nel suo tentativo di affrontare la vita moderna sul suo piano più profondo.
[1] “La liberazione del paese avvenne soltanto con la fine della guerra e con la sconfitta del Giappone, ma questa si accompagnò alla sua divisione in due zone di occupazione, sovietica e statunitense, rispettivamente a nord e a sud del 38° parallelo. Malgrado la conferenza di Mosca del dicembre 1945 avesse stabilito la ricostituzione di uno stato coreano unitario, non fu possibile raggiungere un accordo in tal senso e nelle due zone di occupazione si formarono strutture alternative, in base alle quali si giunse nel corso del 1948 alla proclamazione di due stati, ognuno dei quali rivendicava la giurisdizione sull’intero paese. La Repubblica di Corea, con capitale Seul, fu proclamata il 15 agosto 1948 nella zona occupata dalle forze statunitensi, dopo l’approvazione, da parte dell’Assemblea nazionale eletta nel maggio dello stesso anno, di una costituzione di tipo presidenziale”, tratto da Francesco Sisci, Le minacce di Pyongyang, in Treccani. Il Libro dell’Anno 2003, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2003, qui in versione online su Treccani.it.
[2] Kim Tong-ni, La sciamana di Chatsil, traduzione di Jung Imsuk e Paola Varani, O barra O, Milano 2006.
[3] Cho Oh-hyun, Distant Holy Man, in For Nirvana: 108 Zen Sijo Poems, traduzione di Heinz Insu Fenkl, Columbia University Press, New York 2016.
[4] Moon Taejun, Naked Foot, in For Nirvana: 108 Zen Sijo Poems, cit.
[5] Kim Sung-dong, Mandala, traduzione di Ahn Jung-hyo, Dong-suh-Munhak-sa, Seul 1990.
[6] Yun Dong-ju, The Cross, in Sky, Wind and Stars, traduzione di Kyung-nyun, Kim Richards e Steffen F. Richards, Asian Humanities Press | Jain Publishing Company, Fremont (California) 2003.
[7] Kim Hyunseung, Autumn Prayer, traduzione di Cho Young-Shil, “Korean Literature Now”, Vol. 38, 21 dicembre 2017.
[8] Yi Cheong-jun, Two Stories from Korea: “The Wounded” and “The Abject”, traduzione di Jennifer M. Lee e Grace Jung, University of Hawai‘i Press | Merwinasia, Honolulu 2016.
[9] Lee Kiho, Choi Sun-dok, Filled with the Holy Spirit, Moonji, Seoul 2004.