di Wendy S. Walters, “Mosaic Literary Magazine”, traduzione di Maria Silvestri.

La partecipe lettura di versi, la rabbia come diritto, l’atto poetico come risorsa e forma di protesta, la creazione di una comunità di poeti unica: come nasce e cos’è il progetto Black Poets Speak Out.

 

Durante l’estate ho fatto un’intervista ad Amanda Johnston di Black Poets Speak Out[1], progetto di intervento per la giustizia sociale e performance video collettiva, a proposito del riscontro che il suo lavoro ha ottenuto e degli obiettivi che si propone per il futuro. Quando eravamo già oltre la metà dell’intervista, che stavamo conducendo via email, è stata diffusa la notizia della morte di Sarah Bland. Dopo essere riuscita ad avere un nuovo contratto presso la sua università, la Prairie View A&M, Sarah Bland era stata fermata in macchina mentre dal Texas tornava verso casa sua, a Chicago. Secondo la versione ufficiale, Sarah si è suicidata mentre si trovava in una cella del carcere di Waller County, dove era stata trattenuta per una presunta infrazione. La famiglia ha contestato questa versione e ha richiesto che fosse condotta un’indagine. Questo episodio ha messo in evidenza la velocità con la quale violenze del genere rimettono in discussione la nostra stessa concezione della legge e della giustizia.

Black Poets Speak Out (BPSO) è stato creato da Amanda Johnston, Mahogany L. Browne, Jericho Brown, Jonterri Gadson e Sherina Rodriguez-Sharpe a seguito del mancato rinvio a giudizio dell’agente Darren Wilson per l’assassinio di Mike Brown alla fine del novembre del 2014. Il progetto è una sorta di mostra nella quale alcuni poeti presentano i cortometraggi che hanno autoprodotto. Cortometraggi che contengono poesia, e più precisamente le opere di poeti neri che testimoniano la loro protesta. Invece di attirare l’attenzione attraverso la resa di un allestimento eccellente, la partecipe lettura dei versi riafferma l’eterno significato della poesia e dell’atto poetico.

Prima di condividere una propria opera, i lettori cominciano ogni video con la seguente affermazione: “Il mio nome è […]. Sono un poeta nero che non rimarrà in silenzio mentre questa nazione assassina le persone di colore. Ho il diritto di essere arrabbiato”. Rivendicare la rabbia come diritto fa di molte di queste poesie una testimonianza di come la violenza possa sia dividere una comunità che contribuire a crearla.

Raccogliere e scegliere queste opere non è stato facile. Dei fondatori originari, solo due hanno continuato il progetto, Amanda Johnston e Mahogany L. Browne. Anche la durata che era stata prevista è cambiata. L’obiettivo iniziale dei fondatori era di continuare la campagna fino a marzo del 2015, ma, quando si sono resi conto che c’era ancora moltissimo lavoro da fare, hanno semplicemente eliminato il termine e non ne hanno fissato un altro.

Wendy S. Walters: Che cosa vi ha fatto pensare che avreste trovato o che avreste potuto creare una comunità ricorrendo alla poesia invece che a qualche altra forma di impegno politico? C’è qualcosa di unico nelle comunità di poesia, o nel modo in cui si formano, che vi ha spinti verso questo tipo di attivismo?

Amanda Johnston: Da persona che si batte davanti a queste forme di ingiustizia, mi sono chiesta: qual è la più grande risorsa, il più grande strumento che ho? Siamo poeti e sapevo che avevamo una voce e potevamo usarla, così come tanti nostri predecessori hanno fatto nel passato. In quel momento stavo cercando una strada per trovare la più grande risorsa di potere collettivo a cui potessi accedere dal tavolo della mia cucina. Senza dubbio o esitazione, ho capito che si trattava dei compagni di Cave Canem[2]. Nel collettivo si trovano poeti, scrittori, studiosi, attivisti, avvocati, dottori, studenti, insegnanti, amministratori, spiriti inarrestabili, animi gentili e coraggiosi guerrieri. Sapevo che se c’era un gruppo davanti al quale avrei potuto presentarmi triste e vulnerabile era questo gruppo di persone, perché è questo che mostrano le loro poesie. Quelle poesie vanno per il mondo e trascinano dietro di sé cuori e menti per creare connessioni con altre persone. Credevo nell’innegabile potere della poesia e nel fatto che potesse parlare apertamente a nome delle persone di colore in questo tempo di crisi.

WSW: Potresti dirci qualcosa su cosa l’espressione “speak out” significa per te, con particolare riferimento a Black Poets Speak Out? Far sentire la propria voce ha a che fare con la distanza che il messaggio deve percorrere, con il suo effetto su chi lo riceve o con il suo grido? O pensi che far sentire la propria voce aiuti chi parla a un livello più intimo?

Audre-Lorde

Audre Lorde

AJ: Far sentire la nostra voce è uno dei mezzi più potenti che abbiamo come persone. Comunicare la nostra verità e denunciare l’ingiustizia sono le prime azioni necessarie per creare un cambiamento. Quando poeti e nostri sostenitori condividono un video attraverso BPSO, non stanno soltanto proponendo delle parole o il senso di una poesia, ma iniziano con una frase d’apertura, una dichiarazione: “Sono un poeta nero, e un sostenitore, che non rimarrà in silenzio mentre questa nazione assassina le persone di colore. Ho il diritto di essere arrabbiato”. Con questa affermazione, il lettore prende pubblicamente posizione contro la violenza della polizia e impegna la propria voce a servizio del grido collettivo che chiede giustizia. Come disse Audre Lorde[3], “Il vostro silenzio non vi proteggerà[4]. Coloro che si impegnano a far sentire la propria voce attraverso BPSO sanno che non è possibile rimanere in silenzio e allo stesso tempo pretendere giustizia. C’è bisogno di mettere a rischio sé stessi attraverso la propria voce e le proprie azioni per affermare ulteriormente la necessità del nostro movimento.

WSW: Il tuo commento su Audre Lorde mi fa pensare a due cose relative al suo approccio alla poesia e alla politica. Molta dell’opera di Lorde si è focalizzata sul razzismo e sul sessismo negli Stati Uniti. Le vedeva chiaramente come tipologie di aggressioni collegate tra loro. C’è stata qualche discussione su come la campagna Black Lives Matter[5] potrebbe mettere in maggiore evidenza il contributo delle donne nere come organizzatrici e sostenitrici e dare più attenzione alle donne nere uccise dalla polizia o dalla violenza a sfondo razziale? Come hanno gestito i BPSO questa sovrapposizione di temi? E questo ha messo in campo sfide delle quali, in quanto organizzatori, siete diventati più consapevoli?

AJ: Il movimento Black Lives Matter è stato fondato da tre donne nere: Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi. Nell’arco di tutto il loro lavoro di organizzazione, le molte tipologie di persone di colore rimaste uccise sono state rappresentate, riunite e commemorate. Per cui, come direzione di un movimento, credo che stiano lavorando bene. Ora, in quanto sostenitori di quel lavoro, abbiamo tristemente visto meno azioni e proteste collettive per gli assassinii di donne, bambini di colore e per i membri della comunità LGBTQ. Allo stesso modo, BPSO è stato fondato audre-lorde-3principalmente da donne nere e la direzione rimane questa. Se si guarda ai poeti e ai sostenitori, o alle poesie che vengono proposte, si può notare una rappresentazione fortemente diversificata di tutte queste categorie. Molti uomini e donne hanno condiviso la poesia Power[6] di Audre Lorde, bambini e anziani hanno offerto le proprie poesie e molti dei lettori o dei poeti che vengono letti sono LGBTQ. Tuttavia, come organizzatori, è nostra responsabilità non accontentarci del solo fatto che una rappresentanza eterogenea sia presente nella nostra campagna, quando siamo ben consapevoli che dal punto di vista del movimento c’è ancora tanto lavoro da fare per migliorare la situazione. Un esempio di come ce ne occupiamo con le parole e con i fatti è l’impegno che mettiamo nel diffondere informazioni sulle manifestazioni, come la marcia Say Her Name del 21 maggio 2015, e nel prendere parte a questi eventi, assicurandoci di mettere insieme ogni opportunità per far sentire la nostra voce (dal vivo o stampata sulla carta) attraverso tutta la nostra comunità. La cosa più importante è restare attivi nel nostro lavoro e nella costruzione della nostra comunità. L’esclusione non sostiene il movimento, dato che sappiamo che le vite di tutti i neri sono in pericolo e subiscono la minaccia della violenza della polizia.

WSW: Hai detto che tra i molti altri risultati che BPSO vi ha fatto raggiungere c’è stato la costruzione di una comunità – sia attraverso la carta stampata che online, virtuale e reale. Hai visto svilupparsi qualche sottogruppo a partire dalle azioni e dagli eventi di BPSO? Potresti parlarcene? Inoltre, quali sono i meccanismi con i quali i collaboratori di BPSO procedono collettivamente, si relazionano l’uno con l’altro? È una rete che si muove in primo luogo attraverso i social media o la comunità cerca di mantenere i contatti attraverso altri tipi di eventi, interventi e/o interazioni?

AJ: Agli eventi di BPSO ad Austin, in Texas, un gran numero di organizzazioni e attivisti si è riunito per far sentire la propria voce. Gruppi come The People’s Task Force, Austin Justice Coalition[7] e membri di Creative Action[8] e Red Salmon Arts[9] si sono riuniti attraverso gli eventi BPSO. Tale opera continua a costruirsi attraverso gli sforzi collettivi e in relazione a eventi futuri già programmati. Sostenendo gli uni l’opera degli altri e unendoci collettivamente, siamo in grado di raggiungere un pubblico più ampio e richiamare le persone all’azione nella lotta per la salvezza delle vite dei neri. So che a New York vale lo stesso. Mahogany può dire di più su questo, dal momento che lei ha coordinato vari eventi congiunti di BPSO, incluso un evento al Brooklyn Museum che riuniva i rappresentanti di varie organizzazioni di attivisti con gli stessi obiettivi a supporto del movimento. Altre comunità di poeti stanno avendo uguale successo, dal momento che questi eventi di BPSO sono aperti al pubblico e, in quanto proteste in forma poetica, richiamano coloro che osano far sentire la propria voce. Tra il pubblico si trovano poeti, attivisti, sostenitori e simpatizzanti di vario genere. Alcuni non avevano mai partecipato prima a un evento di poesia, ma si sentivano attratti dalle letture in quanto mezzo accessibile e diretto per combattere la violenza della polizia.

Per quanto riguarda portare avanti l’opera di BPSO, partecipanti attivi e potenziali ci contattano attraverso il sito internet per proporre nuovi eventi e, collettivamente, condividiamo le informazioni sulla pagina pubblica del nostro gruppo Facebook. In tal modo possiamo diffondere ampiamente le informazioni attraverso le pagine a cui partecipiamo sui social network e coordinarci per essere presenti e dare il nostro sostegno di persona. Siamo online e in carne e ossa. Siamo sia sulla pagina che fuori.

WSW: Sarah Bland è morta lo stesso giorno in cui la famiglia di Eric Garner ha ricevuto un risarcimento di 5,9 milioni di dollari dalla città di New York a seguito della loro accusa di procurato decesso. Che senso dai tu (e BPSO) a tutto questo? È faticoso continuare ad andare avanti con tutte queste notizie negative che continuano ad arrivare? Se sì, come fate, qual è la meta?

AJ: Il sistema è costruito per sfinirti e ridurti al silenzio. Un risarcimento monetario, di qualsiasi cifra si tratti, non è giustizia. È un’ammissione di errore che cerca una conclusione. Giustizia sarebbe che Eric Garner non fosse mai stato assassinato. Che fosse vivo insieme a sua moglie e ai suoi figli. Giustizia sarebbe Sarah Bland viva ed entusiasta per il suo futuro. In quanto poeti e scrittori di BPSO, il nostro compito è quello di continuare a raccontare la verità e a ricordare i loro nomi attraverso la nostra opera. Purtroppo sappiamo che queste sono solo due vittime tra centinaia di morti e migliaia di persone che hanno subito la brutalità della polizia. Penso che un obiettivo sia non diventare insensibili riguardo alle morti delle persone di colore. Con il costante bombardamento di immagini, la reazione più naturale per sopravvivere è spegnere la TV e guardare altrove. Può farti impazzire. Attraverso il lavoro e le parole degli altri poeti e dei nostri predecessori, io trovo la forza. Stiamo pianificando una veglia per Sarah Bland domani notte [venerdì 20 novembre ’15, ndt] ad Austin. Marceremo fino alla sede del governo, condivideremo poesie e preghiere e pronunceremo il suo nome nel cuore del Texas, davanti al luogo dove i pubblici ufficiali hanno giurato di proteggerci e servirci. Come comunità, localmente e attraverso i nostri legami in tutto il Paese, ci muoviamo in avanti. Non oltre, non al di là, ma in avanti verso la giustizia e la libertà.

speak_out_2

WSW: BPSO mi fa pensare alla giornalista Ida B. Wells, che ha dovuto affrontare molti ostacoli per poter denunciare la schiavitù. Con lei in mente, sto ripensando all’idea di far sentire la propria voce: si lega in qualche modo al tipo di giornalismo che la Wells praticava a Memphis quando il linciaggio divenne un mezzo attivo di repressione politica ed economica? Come vedi la funzione della poesia in relazione al giornalismo, o, in maniera forse più specifica, cosa può fare un poeta di diverso da quel che può fare un giornalista per far sentire la propria voce?

AJ: Penso che una delle cose importanti che derivano dal far sentire la propria voce sia la possibilità di raggiungere un pubblico eterogeneo. Un giornalista arriva al pubblico che segue lui e la sua testata. I poeti possono raggiungere i loro lettori, i loro sostenitori e le comunità letterarie. Mi sembra che la poesia abbia un proprio modo di coinvolgerti personalmente. Anche durante una lettura affollata, la poesia in qualche modo è in grado di trovarti, sussurrare il tuo nome e richiamarti all’azione. Il giornalismo può raggiungere e informare milioni di persone facendo molto rumore. Abbiamo bisogno che ognuno alzi la voce contro la violenza della polizia e raggiunga quante più persone possibile.

WSW: C’è qualcosa di molto toccante nell’ascoltare una poesia letta ad alta voce che lo rende diverso dal semplice leggerla. La voce impregna la poesia di vita, di una vitalità che è indiscutibile. Le letture sono anche atti generativi. È interessante pensare a queste poesie che mettono a confronto la vita e la morte in una sorta di ottica metafisica. Forse mi sto spingendo troppo oltre, e per favore, se fosse così, dimmelo, ma mi chiedevo se tu avessi qualche pensiero al riguardo.

AJ: Quando qualcuno crea un video per BPSO, una molteplicità di azioni avviene simultaneamente: chi legge sta impegnando il proprio nome e la propria immagine nella resistenza alla violenza della polizia, sta pubblicamente affermando che le vite dei neri sono importanti, viene chiamato in causa un vasto coro di parole di poeti neri che si espandono nel tempo e nello spazio, e quando qualcuno clicca sul video, ovunque egli sia nel mondo, tra questi tre aspetti si crea una connessione, coinvolgendo il lettore, la parola e il movimento. Lo spettatore è messo a confronto con il lettore in quanto persona viva (talvolta persino qualcuno che conosce personalmente) che fa sentire la propria voce attraverso il potere della poesia per chiedere un cambiamento. I partecipanti mostrano la propria volontà di vivere liberamente attraverso l’arte nonostante si trovino di fronte a un attacco molto reale alla libertà. È incalzante e potente.

WSW: Potresti parlare un po’ della durata di questo progetto e di come lo hai immaginato? Dove vedi BPSO nei prossimi mesi? Qual è il modo migliore per coloro che sono interessati a partecipare a BPSO per impegnarsi?

AJ: BPSO come campagna continuerà a sostenere il movimento Black Lives Matter. Molti dei nostri partecipanti sono educatori e al momento si stanno preparando per i corsi. Presto BPSO condividerà sul nostro sito i programmi di alcune lezioni gratuite che si concentrano sulla scrittura creativa e sull’attivismo per la giustizia sociale. La nostra speranza è che gli educatori li usino come risorsa per mantenere attivo lo scambio con gli studenti. Continuerà anche la nostra campagna tesa a scrivere lettere ad alcuni amministratori locali per richiedere da loro azioni concrete contro la violenza della polizia. Questo tipo di lavoro fornirà informazioni preziose alla nostra comunità e agli elettori mentre ci muoviamo verso la stagione elettorale del 2016. Abbiamo bisogno di poeti e sostenitori volontari. Chiunque sia interessato a supportare Black Poets Speak Out può contattarci attraverso il nostro sito www.blackpoetsspeakout.org o scriverci direttamente a blackpoetsspeakout@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

[1]          http://blackpoetsspeakout.org/

[2]          http://www.cavecanempoets.org/

[3]          Audre Lorde (1934-1992) è stata una poetessa statunitense di origine caraibica. A partire dagli anni cinquanta fu impegnata su vari fronti dell’attivismo sociale e politico.

[4]          Audre Lorde, Sister Outsider. Essays and Speeches, Crossing Press, Berkeley 1984; Sorella outsider. Gli scritti politici di Audre Lorde, traduzione di Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida, Il dito e la luna, Milano 2014.

[5]          http://blacklivesmatter.com/

[6]          Audre Lorde, The Black Unicorn, W.W. Norton & Company, New York 1978.

[7]          http://www.austinjustice.org/

[8]          http://creativeaction.org/

[9]          http://www.resistenciabooks.com/

leggi offline «Il potere della poesia: Black Poets Speak Out»